venerdì 23 settembre 2011

l'amore si nutre di libertà

Non possiamo costringere nessuno ad amarci.
L’amore si nutre di libertà.
E, tuttavia, libertà non significa poter fare sempre tutto quello che si vuole:
la libertà deve avere un necessario legame con la verità.
“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” Gv, 8,32.
Sono pienamente libero non quando faccio quello che voglio, ma quando scelgo la verità e il bene.
Quando una mamma dice al figlio di non mettere la mano sul fuoco altrimenti si scotterà, il bambino non è più libero se sceglie di scottarsi pur di fare quello che vuole.
Alla verità, dunque, si arriva prima col cuore che con l’intelligenza:
spesso dobbiamo fidarci delle persone che ci amano e scegliere di fare quello che ci consigliano, anche se non ne comprendiamo subito il senso.
Nella verità però si permane più con l’intelligenza che con il cuore, perché l’amore non si esaurisce nel sentimento ma abbraccia tutte le facoltà di una persona.
Viene sempre ad un certo punto della vita un momento in cui il cuore non basta più ed allora bisogna attingere a tutte le facoltà per rimanere fedeli all’impegno di amore che liberamente abbiamo preso; quello sarà il momento giusto per cercare di capire con la luce dell’intelligenza, che è stata infusa nella nostra anima, che il mistero dell’amore bussa alla porta della volontà e ci chiede di gettare nuove fondamenta capaci di rendere più profondo e stabile ciò che prima era solo entusiasmo dei sentimenti.
Siamo anime assetate d’amore ed il nostro cuore spesso è come un’arpa muta che attende soltanto la mano discreta capace di far vibrare di suoni armoniosi le sue corde più intime.
E tuttavia mutevole è il cuore dell’uomo più di ogni altra cosa, bisogna imparare a governarlo e sapientemente orientarlo verso il bene.

martedì 20 settembre 2011

giuristi e criminali

“Certo voi avvocati dovete avere un bel coraggio a difendere certi criminali”; è l'affermazione che più spesso mi sono sentito rivolgere in questi anni.
Quasi sempre rispondo che ho conosciuto più criminali tra giudici e avvocati che non tra i clienti che ho difeso.
Le ferite più dolorose me le hanno inferte colleghi che consideravo amici e giudici senza coscienza che hanno applicato la legge ignorando le più elementari norme di buon senso.
La giustizia non si può amministrare soltanto con l’applicazione scrupolosa dei cavilli: richiede un equilibrio che è diventato merce sempre più rara nelle aule dei tribunali.
Sono riuscito sempre a comprendere le motivazioni, spesso futili e abiette, di chi commette un crimine; non riuscirò mai a capire il cinismo di certi giudici che decidono della vita di una persona con una indifferenza agghiacciante.
Mi sono convinto, allora, che le scelte “morali” che facciamo nel corso degli anni “influenzano” la nostra vita tutta intera, compresa la realizzazione professionale: non credete a chi cerca di convincervi che soltanto le persone senza scrupoli fanno strada, perché non è vero.
La vita di una persona bisogna valutarla nella sua interezza e se ci sembra talvolta che solo chi è senza scrupoli riesce ad ottenere quel successo a cui tanto anela è perché abbiamo presente soltanto un segmento della sua vita; se potessimo fare un bilancio complessivo della sua esistenza, non invidieremmo affatto quell’effimero splendore.
Come diceva il grande De Marsico: "Si può fare l’avvocato tenendo separato l’abito professionale dal costume morale; non si può essere avvocato che identificandoli.
L’una cosa è bravura, appartiene all’abilità ed è il frutto dell’intelletto e dello studio; l’altra è virtù di vita ed appartiene allo spirito".

giovedì 15 settembre 2011

stabat Mater

Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius.

Cuius ánimam geméntem,
contristátam et doléntem
pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta
fuit illa benedícta
Mater Unigéniti !

lunedì 12 settembre 2011

venerdì 9 settembre 2011

l'arte di saper perdere

Il mio corpo non ne ha mai voluto sapere di assecondare in tutto e per tutto la mente che cercava di governarlo.
Quello che spesso era immediatamente chiaro nella testa richiedeva molti esercizi per essere eseguito dal corpo.
Nelle mie prestazioni sportive non riuscivo mai ad accettare la sconfitta.
Mi interessava solo vincere e, tranne il rispetto delle regole, tutto il resto non contava.
Chi dice che nello sport l'importante è partecipare con ogni probabilità non ha mai giocato una partita in vita sua.
Chiunque abbia fatto parte di una squadra sa quanto è importante vincere, specie per un ragazzo giovane.
Fa parte di un desiderio innato che và al di la della singola prestazione, poichè riguarda la vita intera: è un atteggiamento nei confronti del mondo, dal momento che una palla dentro o fuori può cambiare il tuo rapporto con l'universo.
Man mano che cresci, però, ti rendi conto che la cosa più importante che lo sport ti ha insegnato è imparare a perdere, perchè non c'è niente di più importante nella vita che saper accettare una sconfitta con dignità.
Capisci che una partita si perde o si vince non solo grazie al tuo impegno ed alla tua abilità, ma anche a causa di alcuni fattori che fanno parte del regno dell'imponderabile.
Comprendi che è solo un gioco nel quale tu non puoi controllare tutto e ti metti l'animo in pace cominciando a giocare davvero solo per divertirti.
Scopri, allora, tutta la gioia che produce lo sport quando non è assillato dall'ansia di voler vincere a tutti i costi.

mercoledì 7 settembre 2011

una giornata di ordinaria follia

a chi di voi non è mai capitato di desiderare fortemente di imitare il protagonista di questo film???
A me capita spesso e confesso che la cosa comincia a preoccuparmi!!!
L'ultima volta è stata ieri pomeriggio, di fronte all'ennesima chiusura di una strada per lavori in corso; ma devo ammettere che mi capita anche in certe aule di Tribunali, in alcuni uffici pubblici e in qualche banca di mia conoscenza...

venerdì 2 settembre 2011

quello sguardo...

Un giorno, mentre viaggiavo in autobus, mi colpì una scena che non ho più dimenticato: un ragazzino di circa dodici o tredici anni al momento di salire mi urtò leggermente in maniera del tutto involontaria e con indicibile dolcezza e garbo mi chiese scusa; mi accorsi, allora, che aveva un leggero handicap fisico che gli impediva di effettuare con naturalezza i movimenti più semplici.
Al momento della discesa, il ragazzino, accompagnato da una signora che lo teneva per mano, impiegò, com’era comprensibile, un po’ di tempo per scendere i gradini del veicolo; sennonché, un signore piuttosto scorbutico che, evidentemente, aveva molta fretta di salire e non si era reso conto dell'handicap del ragazzo, cominciò ad inveire contro il povero malcapitato, apostrofandolo con parole irripetibili.
Mi impressionò allora lo sguardo del poveretto, colmo di stupore e d'innocenza; era lo stesso sguardo di Cristo di fronte agli sputi della gente che pure aveva amato senza misura: era l’immagine dell’innocenza calpestata di chi non comprende l’odio perché conosce soltanto l’amore.
Avrei voluto inginocchiarmi davanti a quello sguardo...