Quest’anno ho deciso
di ritornare, seppur per due giorni, nella mia città natale per rivedere
le meraviglie del museo di Capodimonte.
Questo luogo, diretto oggi da
Sylvain Bellenger, costituisce con il suo fantastico parco (che nulla
invidia a quello di Versailles) uno dei tanti motivi di orgoglio della
città partenopea.
Napoli: una delle grandi capitali europee, che poteva
dialogare alla pari con Vienna, Parigi, Londra, Madrid, con una scuola
musicale superba, il cui giudizio lo stesso Mozart temeva.
Il museo di
Capodimonte, insieme a tante altre istituzioni culturali uniche al
mondo, meriterebbe un’attenzione ancora più viva non solo per lo
splendore dell’edificio e del suo parco ma, soprattutto, per la
ricchezza immensa dei suoi tesori, provenienti inizialmente dalla
collezione Farnese, poi donati dai Borboni, dalla città di Napoli e
dall’Italia post unitaria.
Innumerevoli stanze stupende si susseguono in
corridoi lunghissimi, contenenti capolavori di epoche diverse e di
artisti sommi, a cominciare da Tiziano, i cui numerosi quadri accolgono,
quasi all’inizio del cammino, lo spettatore incredulo.
Durante
la mia visita, in una domenica a ingresso libero e affollatissima, due
episodi mi hanno fortemente impressionato.
Nel salone delle danze, dove
giacciono un paio di pianoforti, un bambino ha toccato la tastiera di
uno degli strumenti, creando suoni, che hanno attirato la preoccupata
attenzione di un custode.
Costui, accorso velocemente, ha impedito
l’ulteriore uso dello strumento, sottolineando che non era permesso
neppure toccarlo. Trovandomi anch’io vicino al bambino, sono stato
avvertito dal suddetto custode di non osare mettere le mani sulla
tastiera.
Il direttore Bellenger, presente all’avvenimento, ha lodato
giustamente il comportamento del custode, che, ligio al dovere, non
aveva fatto eccezione alcuna, neanche per un musicista di casa
abbastanza conosciuto.
Poi le cose hanno preso una via più «napoletana» e
simpaticamente conciliante ed io, a richiesta del pubblico, che nel
frattempo si era fatto intorno, dopo aver chiesto al custode il permesso
di potermi «esibire», ho suonato parte di un valzer di Chopin,
ricevendo il plauso degli astanti e dello stesso censore.
Il
secondo episodio è più sottile e toccante. Dopo aver percorso
moltissime sale, ammirando Raffaello, Masaccio, Caravaggio, Bruegel,
Giovanni Bellini, Lorenzo Lotto, Luca Giordano, Mantegna e tanti altri,
un bambino, con gli occhi pieni di tanta Bellezza e un po’ stordito da
tanta sublime Arte si è avvicinato a Bellenger e ha chiesto con
innocente semplicità: «Scusi, mi dice qual è la cosa più importante in
questo museo?».
Il direttore ha risposto: «La tua presenza, quindi,
tu!».
Una risposta meravigliosa, perché vera.
Il bambino, che si ciba di
Bellezza, di quella Bellezza, che la Natura ha donato all’Italia e agli
Artisti che hanno reso il nostro Paese ancora più grande e unico al
mondo. Il bambino, quindi, simbolo di una società migliore.
Nel
lasciare Capodimonte e il suo paradiso terrestre, mi è venuta in mente
l’iscrizione incisa sulla tomba di Raffaello nel Pantheon e ideata da
Pietro Bembo: «Ille hic est Raphael, timuit, quo sospite vinci, rerum
magna parens et moriente mori» (Qui giace quel grande Raffaello. La
Natura, la grande genitrice di tutte le cose, temette di essere vinta da
Lui vivente e di morire con Lui morente).
La Natura che teme la
supremazia dell’Arte! Con il pensiero del detto antico che ciò che è
Bello è anche Buono e Giusto ho lasciato questo luogo di delizie,
portandomi dentro il fascino del suo incanto e con la promessa di
ritornarvi al più presto.
Riccardo Muti (corriere della sera)