sabato 16 gennaio 2016

l'anima vola

C'è un oceano di motivi per essere felici, canta Elisa nella canzone "e scopro cos'è la felicità", contenuta nel suo ultimo disco "l'anima vola".
Sarà forse una coincidenza ma, avendo ascoltato molto questo disco negli ultimi tempi, per il nuovo anno ho fatto anch'io il proposito di essere felice.
Molta gente è convinta, infatti, che la felicità non esista o, nella migliore delle ipotesi, se esiste dipende dal caso.
Accade di essere o di sentirsi felici e basta; non ci si può fare niente.
C'è chi nasce con le orecchie a sventola o con gli occhi azzurri e chi è predisposto alla felicità.
Niente di più sbagliato.
"La felicità del Cielo è per coloro che sanno essere felici sulla terra", ha scritto un grande santo (Josemaria Escrivà, Forgia, cap. 13, n. 1005).
Ed è proprio così.
Siamo artefici del nostro destino.
L'agire modifica l'essere.
Ogni volta che compiamo un atto di virtù diventiamo più buoni e anche più felici;
viceversa, ogni volta che compiamo un atto di egoismo diventiamo più cattivi ed anche più tristi.
Sono parole che avete già sentito, perché questo è uno dei miei temi ricorrenti.
Ogni volta che compiamo un atto di generosità diventiamo più generosi ed anche più felici.
Ogni volta che sorridiamo a qualcuno diventiamo più disponibili ed anche più felici.
Ogni volta che alleviamo il dolore altrui diventiamo più compazienti ed anche più felici.
L'uomo è sempre libero di scegliere cosa vuole diventare, anche nelle situazioni più difficili, quando sembra che nessuna libertà gli sia concessa dal destino avverso.
Nei momenti più drammatici della propria esistenza l'essere umano è capace di decidere se aprire ancora una volta il proprio cuore o chiuderlo per sempre. 
E anche questa volta gennaio è sconfitto.


martedì 5 gennaio 2016

Re(almente) grandi

Quei Savi d'oriente non avevano nulla che li assicurasse della verità.
Nulla di soprannaturale.
Solo il calcolo astronomico e la loro riflessione che una vita integra faceva perfetta.
Eppure hanno avuto fede.
Fede in tutto: fede nella scienza, fede nella coscienza, fede nella bontà divina. 
Per la scienza hanno creduto al segno della stella nuova, che non poteva che esser "quella", attesa da secoli dall'umanità: il Messia.
Per la coscienza hanno avuto fede nella voce della stessa che, ricevendo " voci " celesti, diceva loro: "È quella stella che segna l'avvento del Messia".
Per la bontà hanno avuto fede che Dio non li avrebbe ingannati e, poiché la loro intenzione era retta, li avrebbe aiutati in ogni modo per giungere allo scopo.
E sono riusciti.
Essi soli, fra tanti studiosi dei segni, hanno compreso quel segno, perché essi soli avevano nell'anima l'ansia di conoscere le parole di Dio con un fine retto, che aveva a principale pensiero quello di dare subito a Dio lode ed onore.
Non cercavano un utile proprio.
Anzi vanno incontro a fatiche e spese, e nulla chiedono di compenso che sia umano. Chiedono soltanto che Dio di loro si ricordi e li salvi per l'eternità. 
Come non hanno nessun pensiero di futuro compenso umano, così non hanno, quando decidono il viaggio, nessuna umana preoccupazione.
"Come farò a fare tanto viaggio in paesi e fra popoli di lingua diversa?
Mi crederanno o mi imprigioneranno come spia? Che aiuto mi daranno nel passare deserti e fiumi e monti? E il caldo? E il vento degli altipiani? E le febbri stagnanti lungo le zone paludose? E le fiumane gonfiate dalle piogge? E il cibo diverso? E il diverso linguaggio? E... e... e ".
Essi non ragionano così. Dicono con sincera e santa audacia: "Tu, o Dio, ci leggi nel cuore e vedi che fine perseguiamo.
Nelle tue mani ci affidiamo.
Concedici la gioia sovrumana di adorare la tua Seconda Persona fatta Carne per la salute del mondo".
Basta.
E si mettono in cammino dalle Indie lontane. Dalle catene mongoliche sulle quali spaziano unicamente le aquile e gli avvoltoi e Dio parla col rombo dei venti e dei torrenti e scrive parole di mistero sulle pagine sterminate dei nevai. Dalle terre in cui nasce il Nilo e procede, vena verde azzurra, incontro all'azzurro cuore del Mediterraneo, né picchi, né selve, né arene, oceani asciutti e più pericolosi di quelli marini, fermano il loro andare. E la stella brilla sulle loro notti, negando loro di dormire.
Quando si cerca Dio, le abitudini animali devono cedere alle impazienze e alle necessità sopraumane.
La stella li prende da settentrione, da oriente e da meridione, e per un miracolo di Dio procede per tutti e tre verso un punto, come, per un altro miracolo, li riunisce dopo tante miglia in quel punto, e per un altro dà loro, anticipando la sapienza pentecostale, il dono di intendersi e di farsi intendere così come è nel Paradiso, dove si parla un'unica lingua, quella di Dio.
Un unico momento di sgomento li assale quando la stella scompare e, umili perché sono realmente grandi, non pensano che sia per la malvagità altrui che ciò avviene, non meritando i corrotti di Gerusalemme di vedere la stella di Dio. Ma pensano di avere demeritato di Dio loro stessi, e si esaminano con tremore e contrizione già pronta a chiedere perdono.
Ma la loro coscienza li rassicura. Anime use alla meditazione, hanno una coscienza sensibilissima, affinata da una attenzione costante, da una introspezione acuta, che ha fatto del loro interno uno specchio su cui si riflettono le più piccole larve degli avvenimenti giornalieri.
Ne hanno fatto una maestra, una voce che avverte e grida al più piccolo, non dico errore, ma sguardo all'errore, a ciò che è umano, al compiacimento di ciò che è io. Perciò, quando essi si pongono di fronte a questa maestra, a questo specchio severo e nitido, sanno che esso non mentirà. Ora li rassicura ed essi riprendono lena.
"Oh! dolce cosa sentire che nulla è in noi di contrario a Dio! Sentire che Egli guarda con compiacenza l'animo del figlio fedele e lo benedice. Da questo sentire viene aumento di fede e fiducia, e speranza, e fortezza, e pazienza. Ora è tempesta. Ma passerà, poiché Dio mi ama e sa che lo amo, e non mancherà di aiutarmi ancora". Così parlano coloro che hanno la pace che viene da una coscienza retta, che è regina di ogni loro azione.
Essi, i tre Savi, erano realmente grandi. Per virtù soprannaturali per prima cosa, per scienza per seconda cosa, per ricchezza per ultima cosa.
Ma si sentono un nulla, polvere sulla polvere della terra, rispetto al Dio altissimo, che crea i mondi con un suo sorriso e li sparge come chicchi di grano per saziare gli occhi degli angeli coi monili delle stelle.
Ma si sentono nulla rispetto al Dio altissimo, che ha creato il pianeta su cui vivono e lo ha fatto variato mettendo, Scultore infinito d'opere sconfinate, qua, con una ditata del suo pollice, una corona di dolci colline, e là un'ossatura di gioghi e di picchi, simili a vertebre della terra, di questo corpo smisurato a cui sono vene i fiumi, bacini i laghi, cuori gli oceani, veste le foreste, veli le nubi, decorazioni i ghiacciai di cristallo, gemme le turchesi e gli smeraldi, gli opali e i berilli di tutte le acque che cantano, con le selve e i venti, il grande coro di laude al loro Signore.
Ma si sentono nulla nella loro sapienza rispetto al Dio altissimo, da cui la loro sapienza viene e che ha dato loro occhi più potenti di quelle due pupille per cui vedono le cose: occhi dell'anima, che sanno leggere nelle cose la parola non scritta da mano umana, ma incisa dal pensiero di Dio. 
Ma si sentono nulla nella loro ricchezza: atomo rispetto alla ricchezza del Possessore dell'universo, che sparge metalli e gemme negli astri e pianeti e soprannaturali dovizie, inesauste dovizie, nel cuore di chi l'ama.
E, giunti davanti ad una povera casa, nella più meschina delle città di Giuda, essi non crollano il capo dicendo: "Impossibile", ma curvano la schiena, le ginocchia, e specie il cuore, e adorano. Là, dietro quel povero muro, è Dio.
Quel Dio che essi hanno sempre invocato, non osando mai, neppur lontanamente, sperare di averlo a vedere. Ma invocato per il bene di tutta l'umanità, per il "loro" bene eterno.
Oh! questo solo si auguravano. Di poterlo vedere, conoscere, possedere nella vita che non conosce più albe e tramonti!
Egli è là, dietro quel povero muro. Chissà se il suo cuore di Bambino, che è pur sempre il cuore di un Dio, non sente questi tre cuori che, proni nella polvere della via, squillano: "Santo, Santo, Santo. Benedetto il Signore Iddio nostro. Gloria a Lui nei Cieli altissimi e pace ai suoi servi. Gloria, gloria, gloria e benedizione"? Essi se lo chiedono con tremore di amore.
E per tutta la notte e la seguente mattina preparano con la preghiera più viva lo spirito alla comunione con il Dio-Bambino. 

Maria Valtorta; il Poema dell'uomo Dio