martedì 14 aprile 2015

bestiari(o) familiar(e)

Capita raramente di ascoltare un disco così bello.
Quelle poche volte che succede, allora, nasce in maniera naturale l'esigenza di farlo conoscere alle persone che ti stanno a cuore, circostanza che mi induce a scrivere una vera e propria recensione; la prima della mia vita.
Il disco si chiama "Bestiari(o) familiar(e)" e ne è autore Alessio Arena, l'uomo con la finestra in petto di cui vi avevo già parlato qui.
Napoletano, classe 1984, da anni trasferitosi più o meno stabilmente a Barcellona, Alessio è figlio d'arte: suo padre è Gianni Lamagna, virtuoso della Nuova Compagnia di Canto Popolare, gruppo che, insieme a pochi altri, ha contribuito in maniera determinante a reinterpretare la tradizione musicale napoletana, schiudendole orizzonti di sconfinata modernità.
Vissuto per alcuni anni nel quartiere Sanità (dove ha insegnato musica in una scuola), Alessio si è laureato in letteratura Ispanoamericana con una tesi sullo scrittore cubano Reinaldo Arenas.
Bestiari(o) familiar(e)” è il suo primo album plurilingue, (come quelli di Lhasa de Sela, alla memoria della quale è dedicato l’intero lavoro) registrato tra Barcellona (con gli arrangiamenti e la produzione della pianista Clara Peya e del batterista Toni Pagès) e Napoli (sotto l’egida della Nuova Compagnia di Canto Popolare) e prodotto da diMusicaInMusica.
Tutto il disco è illuminato da una sintesi mirabile tra cultura ispanica e tradizione mediterranea, espressione di due metropoli simbolo: Barcellona e Napoli: «così lontane, così vicine. Ci sono i suoni del mio presente, ovvero Barcellona, dove provo a sbarcare il lunario nutrendo la mia musica e la mia scrittura. E ci sono i suoni del mio passato: Napoli, con un eterno ritorno a casa».
Il primo singolo estratto, Tutto quello che so dei satelliti di Urano, gli ha fatto vincere il festival della canzone d’autore italiana.
Alessio nasce però come scrittore: ha già pubblicato quattro libri; lui stesso racconta come a sei anni sua madre sia andata a vivere in un altra città e perciò ha cominciato a scriverle lettere interminabili in cui le raccontava vicende della vita quotidiana più o meno verosimili.
Ma libri e dischi sono frutti diversi della stessa fantasia creativa: «La concisione della canzone mi proietta nell’autobiografia, mi spinge a mettere a fuoco sentimenti e storie e persone della mia vita attuale e passata, meravigliose “bestie” a cui consegno un lavoro discografico che ha un po’ il senso di un testamento».
Ed effettivamente un testamento sembra voglia essere questo disco, espressione di una maturità compositiva e letteraria sorprendente; frutto di un lavoro profondo e paziente che lo rendono un autentico capolavoro. Sarebbe superfluo, pertanto, sottolineare l'importanza di un brano rispetto agli altri; ogni composizione appare risplendere di una luce di ineffabile bellezza, contribuendo a realizzare un'opera di originalissima integrità e suggestione.
Ci limitiamo a dire soltanto che il disco si divide in due parti che fanno riferimento la prima all’attualità («Avui»), caratterizzata da brani cantati in lingua catalana e castigliana; la seconda al passato («Ajere»), cantata in italiano e napoletano,
In ogni singola nota risplende tutta la gioia e la sofferenza di trent'anni di vita trascorsa a cercare la bellezza delle cose quotidiane più semplici, capaci di acquistare ciascuna un senso insospettato, e contribuendo a fare della vita "una geometria divina" che esige il caricarsi "l'anima in spalla" e volare via lontano da se'.
Il disco è acquistabile sulle piattaforme digitali più comuni, non avendo purtroppo ancora trovato in Italia un'etichetta che avesse il coraggio di investire sull'enorme talento di questo ragazzo.
E' questa la cosa che dispiace di più, poiché è davvero desolante constatare come uno dei dischi più belli degli ultimi anni non possa trovare adeguata diffusione nel nostro paese.