Un giorno ho visto un frammento della sua essenza nell'anima bella e raggiante di mia madre santa.
L'ho vista a mezzogiorno, come una grande farfalla bianca, camminava sulla pietra tiepida della mia finestra e sui marciapiedi scorreva, pietosa e clemente, come latte tiepido appena munto, che la sera da orizzonte a orizzonte diventava una striscia, quasi fiumi di giacinto, o formava nei cieli sereni vasche di sogno in cui s'infiammavano piccole isole di ninfee.
La Luce è la sposa del mio Pensiero, la figlia di Dio, è il vino della gioia dell'Universo, che una sera sgorgò come torrente dal fianco di Gesù, sgorgò come Perdono, laggiù, nei calici vuoti della disperazione degli uomini, radunati intorno alla tavola del Peccato.
La Luce è il sangue della natura, la corona della notte e la veste del giorno, è il marmo delle miniere celesti con cui l'arte, nel suo sogno immortale, scolpisce divinità dai candidi corpi.
Nel suo grembo la Sapienza è un canto, che nel profondo della notte i poeti bevono dalle stelle per suonarlo durante il giorno agli uomini.
Essa si dona a tutti, con tutti si frange e come ostia rimane indivisa.
Essa è l'ostia che scende ogni mattina sui nostri altari, nel mistero insanguinato dell'incarnazione, e io vado alla sorgente della luce...
Quante migliaia, quante migliaia di anni dovrò ancora camminare?
Daniel Varujan, Canti pagani