“I libri non hanno alcun bisogno degli autori, una volta che sono stati scritti”, sostiene la scrittrice del momento: Elena Ferrante.
Dal premio Pulitzer ad Alice Sebold, passando per i recensori più taglienti del New York Times, del New Yorker, del Boston Globe e dell’Economist, Elena Ferrante ha conquistato non solo la più autorevole critica letteraria americana, ma anche personaggi insospettabili: il regista John Waters, che la elegge a sua musa letteraria e l’attrice Gwyneth Paltrow.
Ma chi è Elena Ferrante?
Sembra che nessuno lo sappia con certezza.
Mentre i libri in cui l’autrice sembra raccontare molto della propria vita stanno spopolando nel mercato editoriale italiano ed internazionale, l'autrice non è mai apparsa in pubblico, né ha mai rivelato la sua vera identità.
Sappiamo soltanto che è napoletana (o napoletano, visto che anche il sesso è tutt'altro che certo), poiché dalla sua penna emerge una Napoli descritta come solo chi ci è cresciuto potrebbe fare.
Ferrante usa una voce narrante che negli ultimi romanzi sembra assumere tratti sempre più concreti: quello di una donna ormai sessantenne, una scrittrice, il cui nome è Elena.
È tutto nelle mie pagine, sembra dirci l’autrice, cercatemi lì se volete.
Ma alla gente questo sembra non bastare, vuole sapere;
anche perché, e questo sorprende ancora di più nel paese dei segreti di Pulcinella, chi sia davvero la Ferrante resta un mistero anche nella stretta cerchia degli addetti ai lavori.
A parte i suoi editori, nessuno lo sa.
L’autrice è dispersa, esattamente come Lila, la protagonista “negata” delL’amica geniale':
Sono almeno tre decenni che mi dice di voler sparire senza lasciare traccia, e solo io so bene cosa vuole dire. Non ha mai avuto in mente una qualche fuga, un cambio di identità, il sogno di rifarsi una vita altrove. […]. Il suo proposito è stato sempre un altro: voleva volatilizzarsi; voleva disperdere ogni sua cellula; di lei non si doveva trovare più niente. E poiché la conosco bene, o almeno credo di conoscerla, do per scontato che abbia trovato il modo di non lasciare in questo mondo nemmeno un capello, da nessuna parte.
Ferrante pubblica da più di venti anni e forse la curiosità sulla sua identità è aumentata grazie al suo successo.
Ma porta anche il segno di una crescente insofferenza per la sottrazione ai valori dominanti nell’età della trasparenza.
Come si permette di negarsi alla visibilità, di rifiutare il rito dei riconoscimenti, di irridere i meccanismi narcisisti trionfanti (o di inventarne uno tutto suo, oltranzista e spiazzante)?
In questi venti anni è come se il gesto semplice di non apparire avesse assunto un carattere equivoco solo perché contraddice una pretesa che, grazie alle tecnologie, si è insediata nella nostra sensibilità generando una nuova suscettibilità: tutto è accessibile, tutto si può (e dunque si deve) sapere.
La resistenza con cui Elena Ferrante si cela è perciò ammirevole: smaschera qualcosa di nascosto, evoca qualcosa di stregonesco, ovvero il dominio dell’onnipresenza.
E rende ridicoli i giochi di società intorno alla sua identità (a cui peraltro è ovviamente difficile sottrarsi).