lunedì 31 ottobre 2011

"serve una scossa"

Così titolava il Corriere del Veneto di sabato mattina la pagina dello sport, alludendo alla squadra di calcio del Verona attesa ad un pronto riscatto dopo le ultime sconfitte.
E scossa è stata, ma di terremoto.
Chi ha pensato a quel titolo venerdì sera neanche immaginava che di lì a poco, alle 6 e 13 della mattina di sabato, la terra avrebbe tremato e anche piuttosto forte.
Questa volta l'hanno sentita anche gli altri, perchè in genere soltanto io avverto scosse nel cuore della notte o all'alba, e così mi prendono in giro perchè sono un terremotato, cioè scampato al terremoto del 1980.
In effetti da quella sera del 23 novembre 1980 ho acquisito una particolare sensibilità per i fenomeni sismici.
Erano le 19,34 di una domenica come tutte le altre ed io avevo solo quattordici anni. Mi trovavo al piano terra di una casa dove, insieme ad alcuni amici, ci riunivamo la sera per chiacchierare ed ascoltare musica e all’improvviso sentimmo come se qualcuno stesse buttando giù la porta; alcuni attimi di indecisione e capimmo che la terra tremava. Uscimmo subito fuori, lungo la strada, in quel momento attraversata da una fila interminabile di automobili, e rimanemmo come impietriti nel vedere il palazzo di dieci piani di fronte a noi ondeggiare in modo sinistro e perdere vistosamente calcinacci ed intonaco. Non ebbi neanche il tempo di scappare che mi si avvicinò una signora appena scesa dal palazzo, la quale, completamente in preda al panico, mi mise in braccio una bambina di pochi mesi che piangeva, precipitandosi di nuovo dentro il palazzo per recuperare, forse, altri bambini.
Se ci ripenso sento ancora i brividi: ero un ragazzo di quattordici anni che si trovava per la prima volta in vita sua nel bel mezzo di un terremoto decisamente violento; vedevo intorno a me il traffico impazzito, macchine che si tamponavano, gente che scappava in ogni direzione ed un palazzo di dieci piani che ondeggiava a pochi metri; ebbene, in mezzo a quest’apocalisse mi trovavo una bambina di pochi mesi in braccio, mai vista prima, ed ero per questo costretto a rimanere immobile, non potendo fare un passo né in una direzione, né in un’altra, almeno fino al momento in cui sarebbe ritornata la madre della creatura.
Non so dire quanto tempo passò, forse soltanto pochi minuti, ma furono i minuti più lunghi della mia vita. Il pensiero che più mi tormentò in quei frangenti era la consapevolezza che i miei genitori, in particolare mia madre, sarebbero stati nell’angoscia fino a quando non mi avessero visto ritornare a casa. E così fu; tornata la madre a riprendersi la bambina, corsi subito a casa e trovai i miei, insieme ad altra gente, davanti all’abitazione, con mia madre in lacrime che venne ad abbracciarmi, chiedendomi per quale motivo avessi tardato tanto.
Ho ripensato spesso a quella scena nel corso degli anni: io che assisto attonito alla fine del mondo ed una bambina piccolissima che mi guarda con occhi angosciati: ero da solo davanti al destino che mi chiedeva di andare controcorrente, e nessuno avrebbe potuto prendere decisioni al mio posto.
Alle volte mi domando: perché proprio io? Fu un caso o quella bambina capitò nelle mie braccia per un disegno misterioso del destino? E cosa sarebbe successo se mi fossi lasciato prendere anch’io dal panico, dopotutto avevo solo quattordici anni, e fossi scappato lasciando la piccola abbandonata per strada?
Col tempo ho capito che quell’esperienza rappresentava per me quasi una premonizione, poiché mi anticipava il destino futuro, facendo presagire il corso della mia vita, per tutte le volte che sarei stato chiamato ad andare decisamente controcorrente.

venerdì 28 ottobre 2011

aria pura

stamattina alle 9.09 mi è arrivato un sms che diceva: "ciao Luigi, io e Giò oggi discutiamo la tesi di laurea alle 9 e 30; saremmo felici che tu ci fossi"!
Io ero già in viaggio per raggiungere la facoltà di medicina perchè non potevo mancare alla laurea di Carlo e Giovanni.
Conoscere questi due ragazzi è stato per me respirare una boccata di aria pura, perchè appartengono a quella categoria di persone che sembrano non essere stati nemmeno sfiorati dal peccato originale.
Peraltro l'amicizia tra di loro è davvero inossidabile e mi ha colpito come, nella pagina dei ringraziamenti della tesi, si esprimessero gratitudine reciproca per l'aiuto ed il conforto che si sono scambiati durante il ciclo di studi.
Hanno discusso la tesi uno dopo l'altro e sono stati premiati entrambi con il massimo dei voti e la lode, tra gli applausi dei molti amici e parenti intervenuti.
Ho pensato allora che non esiste niente di più bello al mondo dell'amicizia, perchè quando è vera e disinteressata esprime una delle forme più pure dell'amore: desiderare ciascuno il bene dell'altro.

sabato 22 ottobre 2011

il chicco di grano

"Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane sterile; se invece muore produce molto frutto".
Ricordo le prime volte in cui cadevo per terra, Signore: era quasi una gioia per me morire.
"Il tuo destino è portare molto frutto morendo continuamente", mi dicevi sottovoce.
Ed io mi tuffavo incontro alla morte, felice di fruttificare e, rinascendo, contemplare i campi di frumento con tutte quelle spighe dorate...
Quanti frutti e quanti fiori ho potuto generare, Padre, grazie al Tuo amore.
Con il passare del tempo, tuttavia, è stato sempre più difficile morire, fino a diventare ogni volta un supplizio.
Quante volte, Signore, mi hai salvato schiacciandomi con il Tuo piede sulla terra umida, perché io non fossi spazzato via dalla tempesta all'orizzonte.
E ricordi quella volta in cui ero appena caduto per terra quando una colombella si è avvicinata pericolosamente e stava per poggiare le sue labbra su di me; per fortuna si è resa conto che ero già morto ed è volata via senza voltarsi indietro.
Negli ultimi tempi mi riesce molto penoso morire, Padre: credo di essermi ammalato.
Deve essere stato l'effetto delle continue morti e rinascite che alla lunga produce un certo logorio che sembra impedirti di portare ancora frutto.
Adesso mi capita di rimanere per terra e guardare la gente che passa sopra di me, e sperare che qualcuno mi raccolga perché, perdonami Padre, non riesco più a morire.
Sono malato Signore e per questo Ti chiedo una volta per tutte, affinché io non debba più rinascere: guariscimi o uccidimi.

martedì 18 ottobre 2011

living in Africa

una canzone che mi ha sempre emozionato per promuovere l'iniziativa di Mirta che trovate qua: lucenelcuore.blogspot.com/2011/10/tam-tam-sms-per-il-corno-dafrica

sabato 8 ottobre 2011

come una figlia

Forse non ricordi quando ti ho cantato per la prima volta una ninna nanna.
Avevi quasi sei anni ed in una delle rare occasioni in cui ci vedevamo mi chiedesti di cantarti una canzone.
Ricordo come fosse adesso che ti abbandonasti nelle mie braccia e mi guardavi attentamente mentre cercavo di cantare qualcosa di decente.
Mi sorprese molto il fatto che non sorridevi ma mi osservavi con occhi molto seri, come se vedessi in me qualcosa che io stesso ignoravo e che ti affascinava.
Era come se tu stessi contemplando l’eterno bambino che si nascondeva dentro di me e che cercava di parlare per la prima volta, perché solo tu potevi vederlo.
Ad un certo punto entrò nella stanza tua nonna e rimase di stucco davanti alla scena del figlio che cantava e della nipotina che gli scrutava l’anima.
Il destino ci sorprende sempre.
Giriamo il mondo intero per cercare noi stessi e finiamo per ritrovarci negli occhi di un bambino.
Tu mi hai aiutato molto in questa ricerca.
C’è qualcosa che solo i legami di sangue possono scorgere e tu sei riuscita a vederla.
Ringrazia l'Eterno per la famiglia che ti è stata data;
in essa troverai sempre libertà e amore incondizionato.
Sarai amata per quello che sei: figlia, indipendentemente da quello che riuscirai a compiere nella vita.
E ad essa ritornerai ogni volta che nel bel mezzo della strada ti sentirai giudicata soltanto per la prestazione che sarai capace di compiere, e fino a quando riuscirai a compierla, perché poi sarai tagliata fuori dal cosiddetto mondo efficiente.
Nulla potrà scoraggiarti allora se saprai ogni volta ritornare a casa.

mercoledì 5 ottobre 2011

una casa nel buio

Poi una mattina apri gli occhi, e d’improvviso la giornata davanti ti fa paura.
Ciò che è quotidiano e semplice di colpo è uno sforzo insormontabile.
Semplicemente, non puoi.
Chiudi le imposte, la luce è una minaccia.
Vorresti solo poter restare al buio; e dormire, dormire, per non dover pensare.
Tutto è così estraneo, e così vuoto: non c’è più alcuna affezione a ciò che fai ogni giorno.
Come se qualcuno, dal di dentro, avesse fatto scattare un interruttore, precipitando una casa nel buio.
Un sottile panico. Come farai? Devi trovare una faccia da metterti, devi vestirti, e sembrare normale.
Occorre una maschera: ma nello specchio sei così inadeguata, gli occhi così smarriti.
Una benedizione sarebbe aver fretta, dover prendere un treno, non avere tempo.
E ogni minuto d’ozio invece moltiplica come in un gioco di specchi la paura.
Esci, facendoti forza.
Incredibile come anche il bar di tutti i giorni ti sembri lontano.
Ti senti peggio, fuori; c’è un sole che ti acceca e da cui vorresti nasconderti, come certi animali notturni che non tollerano la luce.
Ti senti, per la strada, una intrusa che improvvisamente non condivide più quel comune affrettarsi, salutarsi, andare.
Cammini rasentando i muri della case – come un clandestino. Rientri affannata, quasi inseguita.
Il telefono suona e lo guardi come un nemico.
Non sai cosa dire, non c’è niente che tu possa dire.
Ed è tutta la vita che ogni tanto, un mattino, è così. Qualcuno stacca la luce.
Si sa com’è una casa, quando salta la luce: buia, inerte, e inutile premere qualsiasi interruttore. L’impotenza assoluta.
E non c’è alcun esame medico che possa dire: qualcosa non funziona. Tutti i valori, al contrario, perfetti.
Quel vuoto che ti si spalanca sotto ai piedi non risulta, alle analisi.
D’altronde è del tutto vano cercare di spiegare, a chi non ha provato.
Sono gentili, ma non capiscono. Pregare, anche, è estremamente difficile: giacché c’è solo il buio e il vuoto, è molto difficile convincerti che non stai parlando soltanto con te.
Le cose, la realtà, le facce, che in certe altre felici mattine intuisci essere segno, orma di altro, in queste giornate di muto spavento assumono una consistenza monolitica.
Sono solo cose, materia opaca che ti si para davanti, senza un’origine e un fine. Senza un destino: un essere fatti da e un andare verso. Roba, agglomerati di molecole inerti. (Dormire, dormire, poter non pensare).
Ti danno innumerevoli pillole, ma nessuno sa dirti esattamente che cos’è, che si spezza e ti trasforma in uno smarrito straniero.
Cos’è, per cui la casa d’improvviso, e da quando avevi vent’anni, piomba nell’oscurità; tanto che non puoi chiamare, nemmeno – giacché sei certa, che non c’è nessuno.
Poi, passerà. Un mattino ti sveglierai, e tutte le cose saranno al loro posto.
Sarà bello allora alzarti e andare al parco; di nuovo nei tronchi, nelle facce e perfino nei vecchi tram polverosi intuendo come in trasparenza una storia che viene da e va verso – leggendo di nuovo, in tutto, un destino.

Marina Corradi Tempi 7 settembre 2010