C'è un termine che non gode di molta simpatia nella mentalità contemporanea: per molti versi è la parola più rifiutata dalla sensibilità moderna.
La parola è sacrificio.
La repulsione dell'uomo moderno verso il concetto di sacrificio nasce da una errata interpretazione del termine stesso, che viene letto sempre come sinonimo di rinuncia, privazione, perdita.
L'interpretazione corretta, invece, è molto più semplice e rassicurante: offerta di un dono a qualcuno.
Me lo ha chiarito ieri un amico molto caro, con queste splendide parole:
"Sacrificare vuol dire non tenere il dono per sè.
Tutto è dono di Dio, gratuito, dato per la nostra gioia e la sua gloria.
Nulla ci è dovuto.
Lo scopo, la funzione di questo dono è imparare a imitare Dio nel donare: la gioia sta nel donare.
Sacrificare non è rinunciare ma donare, donare gratuitamente il dono.
Restituire e non tenere per sè il dono, non soffrire per la sua mancanza.
Se saremo fedeli a questo sacrificio, il Signore ci promette la sua gioia qui sulla terra e per la vita eterna.
Donare infatti è dare vita, essere fecondo.
Tenere per sè è diventare sterili, disperdere il dono.
Come da una fonte il nostro calice è stato riempito a metà: più riverseremo nei calici degli altri, più il nostro si riempie fino a traboccare; più ce lo teniamo e più si prosciugherà".
Grazie Alvise