Ho quasi 44 anni. Se
sono minimamente seria con me stessa guardando la mia vita erompe semplicemente
un’esplosione di gratitudine. Sono stata benedetta dal dono di tanti figli, uno
più bello dell’altro e non in senso estetico. Il mio lavoro è il più bello del
mondo. Sono un medico, mi occupo di ostetricia e ginecologia, mi prendo cura
delle donne, assisto al miracolo più grande del mondo: la vita nascente. La
vita è un dono straordinario e che è fatta per essere data. Nell’offrirla il
suo compimento. Non esiste diritto alla salute, diritto allo studio, diritto
alla riproduzione, nemmeno il diritto alla sepoltura… se apriamo gli occhi al
nuovo giorno ogni mattina e di nuovo sorge il sole questa è pura Grazia. Una
tazza di caffelatte e dei biscotti, accidenti… Che merito ne abbiamo?
Certo, siamo immersi in
un modo che ci racconta altro, che ci opprime in ogni istante con menzogne
asfissianti… padroni di noi stessi e del nostro destino, la felicità in quel
che puoi stringere tra le mani, ogni desiderio un ordine e se anche una minima
cosa non va come vorremmo – come inevitabile – avanti con lamentele e
depressione.
Una delle mie ennesime,
inesplicabili fortune è stata quella di aver potuto vivere e lavorare in Uganda
per 4 anni con la mia famiglia. Durante quegli anni preziosissimi ed
evidentemente benedetti da Dio ho avuto la fortuna di incontrare una quantità
di persone sante nel quotidiano. Madri, come esempio tra tanti, che perdevano i
neonati alla nascita dopo travagli prolungati nel recondito della savana,
giunte in ospedale allo stremo delle forze. Per me, giovane ginecologa occidentale,
era uno strazio senza pace. Ma la pace me la restituivano loro. Dottoressa, ma
perché piangi, non lo sai che questo figlio è in Paradiso, in braccio alla
Madonna e al buon Dio? Non lo sai che la vita non è nelle nostre mani? Non
preoccuparti, noi sappiamo che se tu avessi potuto fare qualcosa lo avresti
fatto. Adesso preghiamo insieme su questo figlio che è tornato al Padre.
Al ritorno è stata molto
dura e tuttora mi ritrovo preda della tentazione dell’occidente ateo e illuso
di avere tutto nelle mani. Questa idea di essere i padroni del mondo è
palpabile, serpeggiante, mefitica, ti ripiega su te stesso, ti stringe e ti
costringe alla tristezza del giovane ricco.
Dall’inizio dell’epidemia
di Covid ci sono stati circa 80.000 morti nel mondo con la grande maggioranza
dei deceduti sopra i 65 anni.
In Africa invece, considerando
solamente la malaria (una delle innumerevoli condizioni causanti mortalità
elevatissima e quotidiana nei paesi in via di sviluppo, senza tenere in considerazione,
Tbc, colera, tifo, meningite, Ebola, Hiv, infezioni broncopolmonari) possiamo
stimare in 145.000 i morti nei mesi di gennaio-aprile 2020 (di questi 89.000
bambini sotto i 5 anni di età).
Questi numeri non
riguardano un’epidemia contro la quale il mondo intero sta tentando di lottare,
promuovendo ad esempio delle buone pratiche di bonificazione, facilitando la
diffusione della diagnosi precoce, dei farmaci antimalarici (vecchi come i miei
bisnonni), degli insetticidi, sostenendo la ricerca per un fantomatico vaccino
(magari in tempo record) o per farmaci nuovi e più efficaci… no, non è così.
Questa è la norma. Da anni, da sempre. Ogni 2 minuti muore un bambino di
malaria nel mondo, senza che questo venga raccontato, trasmesso su Rai 1 alle
18 di ogni giorno. Nessuna Protezione Civile per loro.
E nessuno batte un
ciglio, nessuno si strappa un capello, a nessuno interessa nulla. Nessuno lo
sa. L’Occidente ricco e pasciuto si occupa solo di se stesso, entra in panico
appena crede di aver perso il controllo (controllo di cosa?) e la paura della
morte lo stritola in una morsa di terrore che porta al piagnisteo disperato,
alla diffidenza, alla malevolenza, alla caccia all’untore.
Questa epidemia ha
veramente tirato giù le maschere: l’illusione di autonomia, di un mondo
scientificamente evoluto, forte e autodeterminato si sgretola di fronte a un
frustolo di Rna che non è nemmeno una cellula. Stringiamoci allora tutti in
un’unità fittizia che mira all’autopreservazione, pronti alla delazione,
all’accusa, alla rabbia verso chi tenta di dire che forse la paura è inutile e
dannosa e soprattutto alla gioia perfida della catarsi nello scoprire che sono
altri a morire, negli altri Paesi i morti sono di più. Non ci spostiamo di un
millimetro: l’illusione di nuovo è che le nuove norme, il nostro comportamento
corretto e solidale ci riporteranno in pista, saremo nuovamente in controllo,
recupereremo il protagonismo della scena, elimineremo il problema. Almeno fino
alla prossima volta. Abbiamo creato una nuova Religione, quella dello stare a
casa, delle mascherine e del distanziamento sociale, da qui, siamo convinti,
arriverà la salvezza.
Ho avuto la fortuna di
lavorare nel reparto Covid del mio ospedale.
Ci vuole coraggio a
sostenere la speranza degli uomini, ma chi ha conosciuto l’Amore del Signore,
chi lo ha visto palpitante nei suoi giorni, nelle notti, nella vita nascente,
nell’intreccio delle cose, delle persone, degli incontri, dell’amicizia, del
Bene, della Speranza, credo non possa sottrarsi. E ciò che mi insegna la mia
storia è portentoso: tranquillo, non sei tu che comandi: la forza viene sempre
da un Altro. Ci chiede di far da tramite a Lui – pur nel dolore grande – di non
scappare spauriti, di stringere una mano che può essere rugosa e salda nella
stretta oppure magari no e comunque accompagnarla verso il salto che attende
tutti, per consegnarla a un’altra stretta, quella di Dio, che non verrà mai
meno. E ciò che ti folgora è lo sguardo negli occhi dell’uomo, che cercano
morendo il sole, ovvero la Risposta, la Vita eterna. E che se preghi ci stanno.
Credi tu questo? Questa
è la domanda che dobbiamo farci, secondo me.
E prima o poi si dovrà
rispondere, anche dopo il vaccino.
Francesca Zanetto, Tempi, 14 aprile 2020