Era già da un po' di tempo che volevo leggere questo libro di Daniele Mencarelli.
Mi affascinava soprattutto la sua storia, così dolorosa e autentica, storia di una vera e propria resurrezione.
Il libro racconta la sua vicenda umana di giovane poeta segnato da “una malattia invisibile all’altezza del cuore e del cervello", a causa della quale precipita in un buio sempre più profondo, cercando nell’alcool di dimenticare il vuoto che lo assedia.
"Non ho Dio tra i miei amici, l’ho cercato spesso, forse nei momenti, nei luoghi sbagliati, ma ne sento la mano, nella bellezza delle cose, negli interrogativi che l’amore mi fa piangere. C’entra anche lui con il mio velocissimo declino. Non so quanti ce ne siano in circolazione, appartengo alla categoria di quelli che lo vedono nella maestà delle cose senza sentirne il calore nel cuore. Una cosa infame".
Ad un certo punto, pur di alleviare in qualche modo il dolore che la sua situazione arreca alle persone care, si decide a cercare un lavoro: il 3 marzo 1999 firma un contratto con una cooperativa di pulizie per prestare il suo servizio all’ospedale pediatrico del Bambin Gesù di Roma.
Inizia così per Daniele un cammino che lo condurrà a ritrovare se stesso, seppur attraverso continue ricadute e rinascite.
Il punto di svolta è rappresentato dal contatto con il dolore dei bambini che incontra in ospedale, li vede soffrire e morire e questo lo segna profondamente.
Di fronte a questo dramma si alza potente il suo grido al cielo, a cui rivolge la grande domanda: qual'è il senso di tanto soffrire?
«Io non sapevo che i bambini morissero, sì, muoiono, ma non così, come quello scandalo di bellezza e infanzia sfinita ai miei piedi».
La risposta gli arriva attraverso un incontro, un gesto d’amore che vede all’ospedale: una suora che bacia il viso piagato di un bambino.
In quel gesto Daniele coglie che non serve spiegare il perché del dolore, ci vuole qualcuno che lo sappia comprendere e portare: questo cambia la sua vita.