"Qualsiasi cosa lei facesse era l'esatto contrario
di quello che mi aspettavo. È stata una storia d'amore devastante, di cui non
ho mai parlato, un'ossessione. E io ho sofferto tanto, a lungo. Non riuscivo a
lavorare, non uscivo più. Finché, dagli occhi di mia madre, ho capito che il
mio equilibrio era in pericolo.
In quei mesi non piangevo. Seguivo con la mente
il feretro della passione più devastante della mia vita. Me ne stavo
annichilito, malato nell'anima, la rabbia che montava dentro e non riusciva a
diventare lacrime. Lei era l'essenza del piacere e il mio veleno, era la mia
ossessione. Basta, dovevo dire basta:
perché a volte bisogna uccidere un amore per non soccombere. E allora ti
strappi il cuore, lo guardi, attonito, gocciolare.
L'avevo conosciuta per caso, un giorno come un
altro. Non sarò mai in grado di spiegare perché proprio lei. Mi aveva sorpreso,
autonomo era partito il sogno: "Forse è l'anima gemella". Se mi
avessero chiesto, allora come ora, com'è la mia donna ideale, avrei buttato giù
un elenco di aggettivi. Ma quella volta non c'era un parametro che
corrispondesse, la testa era partita per una persona completamente diversa dal
mio bigliettino mentale. No, peggio: ci legava come una sensibilità
particolare, un filo invisibile che mi sembrava ci rendesse affascinati dalle
stesse cose. Un inganno.
Era bella, era colta, amava l'arte come me, la
passione era alle stelle. E lì il delirio, la follia. Un momento l'essenza
della felicità e un momento dopo un incubo. Non che fosse peggiore di me, non
voglio dire questo. Però la sua etica era inconciliabile con la mia, intendo il
comportamento che tutti noi abbiamo nei confronti del bene e del male.
Volevo stare con lei e non ci riuscivo: come fai a vivere con qualcuno, quando
qualsiasi cosa dica o faccia è l'esatto contrario di quello che pensi tu? Eppure
c'era questo afflato che trascende la lucidità razionale, sempre. Ci ho
provato, non mi sono arreso. Con il classico istinto da crocerossino che hanno
i protagonisti degli amori contrastati: "Io la salverò, vedrai che
cambierà, poi sarà bellissimo". Invece no, era nero, era solo lo stesso
baratro in cui sprofondavo mese dopo mese. E intanto davo il peggio di me. Io
che non ero mai stato il gelosone, il tipo che pedina, che controlla il
cellulare, mi ritrovavo a impersonare Otello, e non sulle scene. Non le credevo
mai. Era come se questo non riuscire a possederla in pieno mi gettasse nel
terrore che il mondo me la rubasse, che un altro se la portasse via. Lavorare?
Non ne parliamo. La negatività mi avvolgeva, la tensione era così alta che il
mio personaggio lo facevo malissimo. Senza di lei ero infelice, con lei ero
infelice. Eppure dipendevo da una sua parola, da una sua telefonata, da un
appuntamento al bar.
Gli amici preoccupati: "Perché non esci
più?" Ricordo il viavai di amici da casa mia: "Alessio, come va?
Perché non esci più? Che fai rinchiuso?". Si fermavano ore, fino a notte
fonda, ad ascoltarmi, a cercare di aiutarmi. Venivano anche i miei carissimi
colleghi di set nella Meglio gioventù, Luigi Lo Cascio e Fabrizio Gifuni.
Andavo a dormire determinato: "Non la vedrò più". La mattina ci
cascavo ancora, abbandonarsi era ancora più dolce dopo il dolore del pensiero
di troncare.
A un certo punto quella telefonata di mio
fratello Andrea, che è sacerdote: "Cosa c'è?". E tu non puoi mentire,
racconti tutto. Lui è migliore di tutti gli analisti, una manna dal cielo. È
uno che si sa donare. Io parlavo e nelle sue sospensioni, nei suoi mmmh, nei
suoi silenzi prolungati trovavo le risposte. "Quella passione è
pericolosa", mi dicevo. "Alessio, rischi di perdere il tuo
equilibrio". E a un tratto ci furono gli occhi di mia madre, uno sguardo
ancestrale, intimo, che sembrava arrivare dalla notte dei tempi. Era
preoccupatissima. E allora mi preoccupai anch'io.
Fine. Basta. Stop. Dopo cinque, sei mesi di
passione violenta ce la facevo. Radunavo le forze e allontanavo la memoria:
dovevo cancellare lei, bisognava sopravvivere. Non chiamarla, lasciare i suoi
appelli inascoltati, dimenticare il suo odore, scacciare la sua immagine.
Ho sofferto tanto, a lungo. Certo, c'è chi rimane invischiato anni in relazioni
di questo genere, mentre io ho scansato in tempo l'ossessione, quella che, dai
e dai, prosciuga le energie vitali. È stato un periodo oscuro. Però, se
tornassi indietro, sceglierei di attraversarlo ancora. Sì, in fondo a quella
donna di cui non pronuncerò il nome devo dire grazie, perché è per merito suo
se in pochi mesi sono cresciuto, da ragazzo sono diventato un uomo. La vita,
poi, è andata avanti. Altre storie e, finalmente, nel 2003, Bianca. Era una
sera d'estate, in un giardino idilliaco. Non è stato colpo di fulmine, ma un
interesse caldo come un nido che è aumentato ogni giorno. Stare con lei è
bello, solare, rassicurante. Mi dà la carica per una giornata di lavoro, mi
consola nelle giornate no. Di lei mi piace la curiosità intellettuale, la sua
pudicizia, la sua riservatezza. Mi ha chiesto di non diventare un personaggio
pubblico, di non trascinarla agli eventi, di non farla finire paparazzata sui
giornali. La rispetto. Credo che questo sia l'amore. Non farsi risucchiare in
un gorgo di emozioni, ma condividere la vita. Serenamente».
Alessio Boni (testo raccolto da Eliana Liotta per OK salute di novembre 2007)