lunedì 26 marzo 2012

Annunziata

Oggi ricorre l'onomastico del mio cognome.
In realtà l'Annunziata si festeggia il 25 marzo ma, siccome quest'anno cadeva di domenica, la festa è stata spostata ad oggi.Vi ho già parlato del particolare feeling che mi lega a Maria (l'espressione del viso).
La parola Annunziata, però, mi ricorda anche i primi anni di scuola, quando la maestra scorrendo il registro la pronunciava prima di sottopormi a prove spesso superiori alle mie forze.
La scuola è sempre stata un grande veicolo per guardarsi dentro, grazie allo spietato confronto con gli altri che ti costringe ad affrontare. Per la mia vita, in particolare, sono stati fondamentali gli anni della scuola elementare. Posso dire, senza timore di sbagliare, che sono arrivato a laurearmi vivendo di rendita, grazie al capitale di studio e sofferenza accumulati durante i cinque indimenticabili anni della mia scuola elementare.
La nostra maestra era una donna all’antica, devota e severissima; aveva donato le migliori energie della sua vita all’insegnamento ed i risultati erano davanti agli occhi di tutti: le famiglie del paese facevano a gara per iscrivere i loro figli nella sua prima classe. I ragazzi che avevano fatto le elementari con lei, infatti, una volta arrivati alle medie si trovavano ad essere una spanna sopra gli altri in tutte le materie: ci si arrivava, tuttavia, solo alla fine di un percorso estremamente formativo e molto doloroso. Non lasciava nulla al caso o, peggio, all’improvvisazione; aveva coraggio nella sperimentazione di nuovi metodi di apprendimento ed era molto esigente con i suoi alunni. Non si ammalava praticamente mai ed in cinque anni ci avrà portati soltanto una o due volte in palestra, e non certo per esercizi ginnici ma semplicemente perché non era riuscita a sottrarci alla tradizionale foto di classe.
Quell’anno la prima elementare era piena di bambini che “promettevano” grandi cose per il futuro e, pertanto, le comari del paese impiegavano parte non marginale del loro prezioso tempo per stabilire chi sarebbe stato il “campione”.
In questa inevitabile competizione io partii decisamente svantaggiato.Ero di una timidezza ai limiti del patologico. Arrossivo come un peperone appena mi trovavo al centro dell’attenzione generale, cosa che avveniva spesso a motivo della mia statura, insolitamente alta per l’età, per cui la maestra mi costringeva ad alzarmi in piedi appena entrava in classe un ospite cui poter mostrare la “bestia rara”. Il fatto di essere così timido, inoltre, mi conduceva a chiudermi in me stesso e sperimentare una grande difficoltà nella manifestazione dei miei sentimenti. Come se non bastasse, poi, ero anche affetto da una leggera forma di balbuzie, circostanza che generava l’ilarità generale ogni volta che aprivo bocca.
Il risultato era a prima vista sconcertante: ero un bambino insolitamente taciturno per l’età che avevo e manifestavo grandi difficoltà di relazione con il mondo circostante. Anche la maestra, infatti, cominciò ad avanzare qualche dubbio sulla mia sanità mentale, circostanza che dovette allarmare non poco i miei genitori considerato che tra i molti esami cui mi sottoposero ci fu anche qualche visita psichiatrica: quanto li ho fatti soffrire.
Per fortuna non emerse alcuna patologia invalidante, forse con la crescita avrei risolto da solo i problemi relazionali che mi attanagliavano. La cosa che mi pesava di più, comunque, era l’impossibilità di esprimere il mio mondo interiore: ero incapace di manifestare la mia affettività; mi riusciva difficile persino piangere, cosa insolita per un bambino di prima elementare: nei cinque anni del primo ciclo scolastico non ricordo di aver mai pianto. Anche il rendimento scolastico risentiva di questo mio stato d’animo, con particolare riferimento ai componimenti d’italiano, dai quali risultava in maniera più evidente l’assenza di riflessioni personali e di spunti originali.
Questa penosa situazione continuò fino alla terza elementare senza sostanziali cambiamenti quando, un giorno, accadde un fatto che avrebbe determinato una svolta importante nella mia crescita interiore.
Mio padre mi si presentò con un libro in mano chiedendomi se avevo voglia di leggerlo: il libro era “I ragazzi della via Paal”. Fu probabilmente il primo libro di narrativa che lessi, e ben presto si rivelò il libro giusto al momento giusto, perché forse stavo attraversando una fase in cui non avevo bisogno d’altro che di un po’ di buoni sentimenti.
L’effetto che quel libro produsse in me fu sorprendente anche per gli altri, in primis per la mia maestra.
Fu come se una cisterna d’acqua fresca e zampillante venisse improvvisamente aperta nel bel mezzo di un deserto. Ero in terza elementare ed alla prima occasione, il tema d’italiano, inondai la carta di tutte le emozioni che la lettura del libro mi aveva suscitato: la maestra rimase senza fiato; l’iniziale diffidenza si trasformò quasi in innamoramento.
Cominciai a riversare tutta la mia interiorità, troppo a lungo rimasta inespressa, sulle pagine bianche dei componimenti in classe, e quello che a me sembrava una naturale manifestazione dei miei sentimenti, lasciava sbalorditi tutti gli altri. Non capivo, infatti, perché la gente si stupisse leggendo le cose che scrivevo.
Una volta la maestra ci diede da scrivere un componimento a tema libero ed io scelsi per titolo “La libertà”, volendo esprimere il desiderio innato dell’uomo di realizzare sé stesso. Apriti cielo; semplicemente la scelta del titolo fu giudicata come un evento sensazionale da tutto il personale scolastico, ed anche mia madre vedeva così risorgere il sogno, da lungo tempo accarezzato, che proprio suo figlio diventasse “il campione”. Non mi sono sentito mai a mio agio nei panni del campione e, ben presto, cominciai ad avvertire su di me troppe aspettative, con la conseguenza che l’inevitabile delusione non tardò ad arrivare.
Proprio quando stavo cominciando ad acquisire un po’ di sicurezza nei miei mezzi, infatti, arrivò l’esame di quinta elementare. Pensavo che la maestra mi avrebbe fatto domande facili, forte delle simpatie che ormai nutriva nei miei confronti.
Mi sbagliavo di grosso. Non bisogna mai confondere una maestra all’antica con una mamma; la prima domanda mi lasciò completamente spiazzato: “che cosa sono i terrazzamenti”? Rimasi di stucco: era la prima volta che sentivo pronunciare quella parola e non avevo la minima idea di cosa significasse.
La maestra rimase anch’essa sorpresa ed impiegò parecchi minuti per cercare di farmi tirare fuori la risposta, ma fu tutto inutile. Ignoravo cosa diavolo fossero i terrazzamenti e nessun indizio mi aiutò nella ricerca della risposta. L’esame si concluse nella delusione generale e, nonostante fossi stato comunque promosso al secondo ciclo di studi, purtroppo, o per fortuna, non riuscii a conseguire il titolo di campione.

martedì 20 marzo 2012

Proust, Coelho e San Giuseppe

Domenica pomeriggio ho, mio malgrado, ascoltato una conferenza su Proust, e precisamente sul concetto di tempo nelle opere dello scrittore francese.
Due palle mostruose.
Non erano il tema del convegno o gli argomenti dibattuti che sono risultati profondamente noiosi: è proprio Proust che è di una noia mortale.
Il giorno dopo, cioè ieri, ho festeggiato il mio santo preferito: Giuseppe; persona seria, di poche parole e molti fatti.
Il giorno dopo ancora, cioè oggi, leggo sul giornale la seguente notizia:
"al Castello Superiore di Marostica, nel vicentino, Coelho ha organizzato il suo venticinquesimo party in onore di san Giuseppe, al quale era intitolata la clinica dove lui nacque quasi morto, col cordone ombelicale intorno al collo, «salvo solo per l’intercessione del santo». Dunque ogni anno tutto deve ripartire da qui: dalla preghiera per san Giuseppe, che a Marostica viene pronunciata in una dozzina di lingue (dal portoghese al giapponese al norvegese). In conferenza stampa ha risposto, a suo modo, alle domande. Sul viaggio e sui diversi modi di viaggiare, per esempio. Due tipologie di viaggiatori, come due tipologie di scrittori: Joyce e Proust scrivono guardandosi dentro; Hemingway o Baudelaire per scrivere hanno bisogno invece di esperienze, di viaggiare fuori da se stessi. Lui, Coelho, dice, di appartenere alla seconda specie: per avere materia di scrittura deve accumulare esperienze; e allo stesso modo coi viaggi: non gli basta l’interiorità, se non c’è movimento. Anche se poi, conciliando il dualismo, conclude: «Il mio viaggio esteriore è sempre proiettato nel mio viaggio interiore »".
Che sfiga, mi toccherà rivalutare anche Coelho adesso...

giovedì 15 marzo 2012

nella vasca da bagno del tempo

Ieri pomeriggio viaggiavo in treno ascoltando un pò di musica alla radio.
Ad un certo punto mi imbatto in un programma di radio 1 in cui intervistano e fanno cantare dal vivo una giovanissima cantautrice: Erica Mou.
Premetto che, non avendo visto ne sentito l'ultimo Sanremo, prima d'ora non sospettavo nemmeno l'esistenza di questa ragazza.
Ebbene, sono rimasto folgorato.
Come raramente mi capita alla fine ero letteralmente conquistato dalla sua bravura, ed ancor più dalla sua simpatia.
Ha soltanto ventun anni e si intitola semplicemente "È" il suo album d'esordio, uscito l'8 marzo su etichetta Sugar e prodotto dall'islandese Valgeir Sigurðsson (già Bjork, Sigur Ros).
E' nata una stella???

sabato 10 marzo 2012

Transgender

Come era prevedibile il post precedente, ed i relativi commenti,  hanno sollevato molte questioni che vale la pena approfondire ulteriormente.
Lasciando perdere l'Annunziata, rileva saggiamente Donatella, il problema è: si può essere omosessuali e cattolici allo stesso tempo???
La risposta sembra essere affermativa, alla luce del punto 2358 del Catechismo, il quale testualmente recita:
"Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione".
Ci sono, dunque, persone che pur avvertendo in se' queste tendenze riconoscono in esse un principio di disordine che se assecondato può condurre ad una degenerazione della natura umana.
Queste persone, pertanto, cercano di contrastare tali inclinazioni disordinate e le combattono, riportando vittorie e sconfitte, come è umano che sia.
Nei confronti di queste persone la Chiesa, come abbiamo visto, manifesta "rispetto, compassione, delicatezza".
Ci sono poi altre persone che, viceversa, non riconoscono in queste inclinazioni niente di disordinato o contro natura e rivendicano la libertà di assecondare queste tendenze come gli pare e piace, facendone una battaglia di emancipazione della quale essere orgogliosi.
Ma davvero di emancipazione si tratta?
Già in passato ho cercato di spiegare il delicato rapporto che deve necessariamente intercorrere tra libertà e verità (l'amore si nutre di libertà), e la domanda che mi pongo è: corrisponde realmente alla verità naturale sull'uomo e sulla donna assecondare inclinazioni affettive o sessuali verso persone dello stesso sesso?
Qualcuno potrebbe rispondere dicendo che per lui la verità è che sente dentro di se' una inclinazione verso persone dello stesso sesso; qualche altro, però, potrebbe tranquillamente affermare che prova attrazione verso il proprio figlio, o verso suo padre o sua madre, o verso suo fratello o sua sorella, o verso la moglie del suo migliore amico, o verso il proprio insegnante o l'allieva e così si potrebbe andare avanti all'infinito.
Perchè tutte queste persone non dovrebbero avere la stessa libertà di "amarsi" che rivendicano gli omosessuali?
A me pare che tutte queste situazioni siano caratterizzate da un principio di disordine che si pone contro natura, anzi forse l'ultima molto più delle altre, e allora perchè soltanto agli omosessuali si dovrebbe riconoscere la libertà di fare quello che vogliono ed agli altri no?
O la natura c'è e và rispettata sempre e comunque o tutto diventa lecito, senza più nessun punto di riferimento che ci possa dire cosa è bene e cosa è male.
E' per questo che la Chiesa non può giustificare la pratica dell'omosessualità, e ciò non perchè vuole discriminare queste persone; semplicemente perchè vuole aiutarle a difendere la loro dignità di esseri umani. 

mercoledì 7 marzo 2012

Sciacalli

Premetto che Lucia Annunziata, per fortuna, non è neanche lontanamente mia parente, nonostante il nome quasi simile ed il cognome identico.
Per fortuna, perchè è antipatica, presuntuosa e anche brutta: nella mia famiglia invece siamo tutti simpatici, umili e anche belli.
Questa pseudo-giornalista qualche settimana fa è stata attaccata (e giustamente) da alcune associazioni che rappresentano i gay italiani perchè aveva detto, a proposito delle polemiche suscitate dal festival di Sanremo, che lei avrebbe difeso Celentano anche se costui avesse voluto mandare tutti i gay nei campi di concentramento.
Il giorno dopo sui giornali ha cercato di rimediare con scemenze del tipo: non era mia intenzione; sono stata fraintesa ecc., nonostante fosse molto difficile davvero fraintendere una esternazione così chiara.
Ma, come i più sapranno, una giornalista di sinistra non può (per statuto) inimicarsi la lobby degli omosessuali; per cui la nostra bella giornalista (più bella che intelligente, in verità) ha scelto il momento meno opportuno di tutti per riparare: la morte di Lucio Dalla.
Quando il corpo del grande artista era ancora caldo, infatti, l'eroina dell'informazione ha gridato allo scandalo, denunciando l'ipocrisia della Chiesa che ha fatto passare sotto silenzio la presunta omosessualità del medesimo, assicurandogli un funerale cattolico con tutti i crismi.
Ovviamente le associazioni gay vi si sono buttate a pesce, con dichiarazioni del tipo: questa volta l'Annunziata ha proprio ragione!!!
E invece no, purtroppo, ha torto anche stavolta.
Ammesso e non concesso che Dalla avesse tendenze e comportamenti omosessuali, infatti, è indubitabile come per tutta la vita egli abbia scelto, con libertà e responsabilità personale evidentemente, di tenere questa inclinazione riservata alla sua sfera intima e privata.
Per cui se davvero questi sciacalli avessero voluto rispettare la volontà del defunto, avrebbero dovuto continuare a tenere la notizia riservata.
E invece hanno approfittato del momento in cui Lucio non avrebbe potuto più difendersi per sbandierare appartenenze che forse meritavano solo silenzio e rispetto.
Vi lascio con una sua canzone che parla di futuro e di figli...

domenica 4 marzo 2012

il profeta senza pazienza

L'autorevolezza di un profeta sta proprio nel fatto che gli eventi che ha predetto poi realmente si verifichino:
nel caso di Giona questo invece non accade ed egli si viene a trovare nella situazione davvero paradossale di preferire la morte di migliaia di persone pur di salvare a tutti i costi la faccia, mentre Dio cerca di convincerlo della insensatezza del suo comportamento.
Il libro di Giona è a mio giudizio uno dei più interessanti e "contemporanei" della Bibbia.
Ritengo, infatti, che nessuno più di Giona possa incarnare meglio la mentalità dell'uomo moderno, con la sua paura di dare la faccia per un ideale grande e rischiare così di compromettere l'apparente rispettabilità della sua immagine esteriore, di perdere il consenso della gente e pregiudicare quel simulacro di onorabilità che, con fatica, ha cercato di costruirsi nel tempo.
Non è il caso di raccontare qui tutta la sua storia, anche perchè forse molti di voi già la conoscono: chi non la conoscesse può andare a cercare nella Bibbia questo brevissimo capitolo (appena due pagine; si trova anche in internet facilmente) perchè ne vale veramente la pena secondo me.
Il libro è tutto pervaso da senso del paradosso davvero singolare, che produce un effetto di grande ironia su tutta la storia, a tratti persino divertente.
Io penso che ogn'uno di noi abbia dentro di se qualcosa di Giona