venerdì 30 gennaio 2015

God must be a boogie man

Una mattina di alcuni anni fa l'arcivescovo di New York Edward Egan andò in visita nella scuola elementare della parrocchia di Saint Mark a Harlem, in una zona molto povera del quartiere abitata da afroamericani.
In un salone gremito all'inverosimile da genitori e parenti, finita la recita dei bambini, Egan cerca di guadagnare faticosamente l'uscita, ma tra la folla che si accalca per salutarlo c'è un vecchio negro dall'aria sofferente, in carrozzella, che gli allunga la mano, e quando riesce a stringere quella del cardinale lo attira a sé - come uno che debba confidare a bassa voce un segreto.
Infatti all'orecchio dell'arcivescovo il vecchio sussurra con la poca voce che ha in corpo: «Madre Katharine mi pagò le lezioni di pianoforte!» Egan, capendo a stento nella calca ciò che l'uomo gli sta dicendo, non trova di meglio che esclamare: «Come è stata gentile, madre Katharine!». E poi: «E lei, signore, come si chiama?» «Mi chiamo Lionel Hampton», risponde l'anziano invalido.
Lionel Hampton è una leggenda del jazz, uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi.
Ed era quell'uomo in carrozzella che stava davanti ad Edward Egan nella scuola di una parrocchia di Harlem in una mattina di primavera del 2002, all'età di novantaquattro anni.
Pochi mesi dopo Hampton sarebbe morto, ma da molti è ricordato, oltre che per la sua straordinaria musica, per le centinaia di case costruite per le famiglie povere a New York.
Parrocchiano della chiesa di Saint Mark, a novantaquattro anni, malato, non aveva voluto mancare alla festa dei ragazzini della scuola; il cardinale Egan racconterà poi l'episodio al convegno sull'educazione svoltosi tempo dopo all'Unesco a Parigi.
Ma, si è chiesto davanti all'auditorio, e quella madre Katharine, che pagò le prime lezioni di pianoforte a un bambino nero, chi era?
Era Katharine Drexel, nata nel 1858, una ricca ereditiera fattasi suora che fondò scuole cattoliche in tutti gli Stati Uniti per educare i figli dei più poveri, proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 2000.
Alla morte del padre ereditò una immensa fortuna, ma nel 1891 decise di prendere il velo e fondare una congregazione religiosa che si prendesse cura dei negri e degli indiani, le due razze più emarginate emiserabili degli Stati Uniti. Nacquero così le Suore del SS. Sacramento.
Fondò, tra mille ostacoli e minaccie, l’Università di Xavier a New Orleans, in Louisiana, perché nessuna università del Sud accettava studenti negri. Seguirono un centro missionario e più di sessanta scuole per negri e indiani.
Le suore di madre Katherine si diffusero per tutta l’America, soprattutto nel West e nel Sud.
Lei diede praticamente fondo a tutto il suo patrimonio e restituì al Cielo, moltiplicato, quel che per nascita aveva ricevuto.
«Madre Katharine mi pagò le lezioni di pianoforte», racconta a novant'anni il grande artista, e sembra una fiaba.
La santa e il genio, lei che lo incontra e lo riconosce quando è solo un bambino orfano di padre, su cui nessuno scommetterebbe una lira.
Ma non è una fiaba, come spiega con serena certezza il cardinale di New York.
Semplicemente la suora che comprese che quel bambino "doveva" prendere lezioni di pianoforte era una vera educatrice.
Una che non aveva solo in mente come dare a quel ragazzo le "competenze" necessarie a dargli un mestiere, ma, avendo intravisto in lui il bagliore di un singolare talento - come la luce ancora offuscata di un diamante grezzo - sapeva di doverlo coltivare.
Chissà, forse qualche saggio avrà detto che quella suora era matta, e che quel bambino aveva più urgente bisogno di imparare un mestiere sicuro.
Ma lei era certa del talento di Lionel. Forse perché aveva osservato come quel ragazzino guardava le dita di un pianista, durante una festa a scuola.
Forse perché aveva visto come istintivamente quelle mani di bambino si muovevano sulla tastiera, come se Dio le avesse messe al mondo apposta.
Educare è anche riconoscere nel seme, la pianta; nel segno, la vocazione.
La santa che riconobbe in un bambino il genio, e gli pagò le lezioni di musica, è anche la storia della generosità e del talento educativo di chi lascia tutto e mette il suo immenso patrimonio a servizio dei più poveri.


martedì 20 gennaio 2015

Verginita'

Ieri mia madre mi ha detto: “Ho avuto un solo uomo, tuo padre”.
All’improvviso si sono sgretolati anni e anni di liberazione sessuale, di convincimenti libertari, di mentalità radicale. Tutto quel che avevo creduto una conquista civile si è ridimensionato di fronte a quella semplice affermazione:
“Ho avuto un solo uomo, tuo padre”.
Sono stato messo di fronte alla debolezza di ciò che credevo essere la modernità, con la forza di chi afferma un principio antico, senza la consapevolezza di essere, lei sì, la vera rivoluzionaria.
Mi sono domandato: sono più avanti io che ho vissuto e teorizzato il rifiuto del matrimonio, l’amore libero e i rapporti aperti o lei che per una vita intera è rimasta fedele ad un solo uomo?
Senza essere Gesù Cristo mi sono sentito il figlio di Dio e mia madre mi è apparsa come la Madonna: in modo naturale, come se fosse la più ovvia delle cose, lei ha impostato tutta la sua vita su concetti che oggi ci appaiono sorpassati, ridicoli: la felicità, l’onestà, il rispetto, l’amore.
Mentre penso che non c’è mai stata in lei ombra di rivendicazioni nei confronti del potere maschile mi rendo conto che non esiste nessuno più autonomo di lei.
Nessun senso di inferiorità l’ha mai sfiorata, perché le fondamenta della sua indipendenza erano state scavate nei terreni profondi della dirittura morale, della lealtà, della giustizia, dell’onore e non sulla superficie di ciò che si è abituati a considerare politicamente corretto.
Il rispetto e la timidezza con cui guardava mio padre e l’educazione che mi ha dato a rispettarlo non avevano niente a che vedere con le rivendicazioni dei piatti da lavare.
Mia madre non si è mai sentita inferiore perché ci serviva in tavola un piatto cucinato per il piacere di accontentarci e di farci piacere; o perché lavava e stirava per farci uscire “sempre in ordine”. Sono consapevole che sto esaltando il silenzio e quella che le femministe hanno drasticamente definito sottomissione.
Ma non posso fare a meno di interrogarmi sui veri e falsi traguardi dell’emancipazione, su ciò che appartiene ai convincimenti profondi e su ciò che non è altro che sterile battibecco.
Nella ricerca dei valori che dovrebbero educarci a un’etica meno degradata di quella improntata al principio del così fan tutti, mia madre è un esempio di anticonformismo e di liberazione: lei è davvero affrancata dagli stereotipi e dai bisogni indotti della società massificata.
Per conquistare obiettivi importanti e sicuramente oggi irrinunciabili siamo stati costretti ad abdicare alla nostra integrità.
Noi abbiamo perso la “verginità”, non lei.

Oliviero Toscani

Che sfiga ragazzi, mi toccherà rivalutare anche Toscani adesso...

martedì 13 gennaio 2015

la vera rivoluzione

Spero che questa volta sia chiaro a tutti quanto è importante comprendere che il nemico è dentro ciascuno di noi, non fuori.
Per Hitler il nemico era il popolo giudeo e con il pretesto di conservare pura la razza ariana ha mandato a morire milioni di uomini colpevoli soltanto di non appartenere al novero dei superuomini germanici.
Per Stalin il nemico era chiunque fosse sospettato di appartenere alla borghesia capitalista, unico ostacolo, insieme alla religione, alla scalata al potere da parte del popolo comunista: anche in questo caso sono state milioni le vittime di questo tragico abbaglio, compresi i milioni di morti causati dalla rivoluzione sociale realizzata da Mao in Cina.
Per i terroristi islamici il nemico è l'occidente crociato e chiunque si opponga all'avanzata dei seguaci del califfato, che alla fine vincerà sbaragliando tutti i nemici del profeta Mao-metto.
Per i redattori della rivista Charlie Hebdo il nemico era la religione, vero oppio dei popoli, in quanto retaggio di arretratezza culturale e civile e, pertanto, da coprire di ridicolo al punto da farne un giornale specializzato che avesse come bersaglio non solo il fanatismo islamico, ma qualsiasi comportamento religioso che osasse contrapporsi alla visione laicista della vita.
Ma l'odio è capace di generare soltanto odio e produrre nient'altro che morte.
L'unica grande rivoluzione di questo mondo l'ha realizzata Cristo, che ha fatto la storia con il proprio sangue e non con il sangue degli altri, ed è stato ammazzato ugualmente nel nome di Dio.
La croce continua ad essere considerata anche oggi, purtroppo, uno "scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani", ma non smette per questo di essere l'unica via di salvezza.
Ed è l'unica via di salvezza perché ci insegna a perdonare. 
Dio stesso sceglie di espiare le colpe degli uomini sopportando la morte e la morte più infamante per dimostrare agli uomini di tutti i tempi quanto è importante la misericordia e il perdono.
Senza il perdono dato o chiesto ai fratelli non si può accedere al perdono di Dio: “Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6,14-15).
Il perdono, allora, è la grande rivoluzione del cristianesimo, e presuppone l'umiltà di riconoscere che ciascuno di noi ha bisogno di essere perdonato, perché l'unico vero nemico è il peccato.
E talvolta i cristiani stessi non hanno dimostrato di aver compreso questa verità fondamentale.
Il nostro è un Dio che perdona e per questo "non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.” (Gv 3,17).
Su questo ‘non giudicare’ Gesù sarà durissimo con i suoi discepoli. “Non giudicate perché non siate giudicati, infatti con il giudizio con cui giudicate sarete giudicati….ipocrita, togli prima la trave che è nel tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.”  (Mt 7,1-5; Lc 6,37.41-42).
Cristo sa che in tutti gli uomini e in tutte le donne alberga il peccato e che su questo punto tutte le creature, tutte le vittime e tutti gli aggressori, sono uguali, tanto che dirà a chi condannava una adultera colta in fragrante “ Chi è senza peccato scagli la prima pietra” (Gv 8,7).
Così salva l’adultera, colta in fragrante, dalla lapidazione (Gv 8,1-11), superando i comandamenti della Torah (Lev.20,10), e rifiutandosi pertanto di dare alla legge l’ultima parola; e fa tutto questo per dare all’adultera l’inizio di una nuova vita innocente: “Va e da ora non peccare più”. Non riduce l’adultera al peccato che ha compiuto; la sa capace di una vita ‘altra’ e la invita a camminare verso questa vita diversa che vuole ardentemente per lei.
Comprendete adesso perché il vero obiettivo del califfato è Roma?