Credo che ormai sia nota a tutti la mia passione per la musica.
Grazie a questa passione decisi alcuni anni fa di iscrivermi per la prima volta ad un social-network: si trattava di myspace, piattaforma che all'epoca riuniva soprattutto giovani musicisti in cerca di strumenti per esprimere il proprio talento.
Alcuni di loro hanno fatto strada, mentre altri sono rimasti per lo più sconosciuti ma, non per questo, meno degni di considerazione.
Un giorno mi arrivò la notizia che un gruppo di produzione musicale, Magma production, stava organizzando una selezione di pezzi musicali e racconti letterari di autori presenti su myspace, allo scopo di provvederne alla pubblicazione.
Ne vennero fuori un cd e un libro, poi presentati al Museo Madre di Napoli in uno spettacolo pubblico.
Tra i pezzi musicali selezionati ce ne fu uno che richiamò subito la mia attenzione per l'originalità del titolo e per la bellezza della canzone: "l'uomo con la finestra in petto" di Alessio Arena.
Recentemente ho riascoltato questo pezzo ritrovandone intatta tutta l'originalità e la bellezza.
Sono andato a vedere, allora, cosa ne era stato di Alessio in questi anni, scoprendo che è maturato molto come artista e, proprio recentemente, ha dato alle stampe un nuovo album: "Bestiario Familiare" la cui caratteristica principale è quella di coniugare melodie tipicamente partenopee (Alessio è napoletano) con il sound della tradizione spagnola, anche perchè ormai da molti anni vive a Barcellona e canta prevalentemente in castigliano.
In particolare mi ha colpito un brano, di cui vi propongo il video, che secondo me è bellissimo.
Il testo che accompagna la canzone, quale nota al margine, è in realtà
l’origine della storia: quella di una donna senza fissa
dimora che Alessio incontrò qualche anno fa, nel quartiere di Sant Andreu, a
Barcellona.
Il suo nome era: Montagna.
Ma lasciamo a lui la parola:
"Come si dice Montagna? La mia lingua cerca la posizione più comoda per appoggiare e
sostenere una parola così grande e un nome così. Ma riesce solo a
contorcersi, o meglio svolazza su se stessa come un pennuto dalle ali
corte, che dopo cade a picco, di fronte alla disperazione di essersi
allontanato troppo da casa, di fronte alla sorpresa nel riconoscere
quanto è alto il nido, quanto enorme l’orizzonte di un palato affamato,
quanto triste non sapere chi stai chiamando quando chiami a gran voce:
Montagna!
Non ho mai pensato che tutte le parole del mondo potessero entrare in un
corpo, che tutte le parole rampicanti, scavatrici, potessero disegnare
il perimetro della propria vanità tra le pieghe della pelle, in ogni
ruga, nelle radici e nella cima oscura degli occhi. Come si dice
qualcosa che possa riempire un buco, che raddrizzi una curva, che
pulisca i vetri appannati della finestra? Nella mia gola la voce ha
fatto un nido per il mio nome; sono io la lingua che si ritorce: è tutto
quello che ho. Sono il pennuto che svolazza e dopo cade a picco perché
quella era una corona di spine, la pronuncia appuntita del silenzio".