giovedì 10 dicembre 2015

le cose che non sopporto

I genitori che portano ancora i bambini, ormai già grandi, in passeggino; (confesso che più di una volta mi ha assalito la tentazione di dirgli che di questo passo faranno dei loro figli dei debosciati, ma poi non lo dico mai, non tanto per timore della risposta più scontata: "perché non ti fai i c... tuoi?", quanto per paura di beccare l'unico bambino paraplegico in circolazione a quell'ora.

Soltanto l'idea che qualcuno possa leggere un libro di Bruno Vespa.

Le ragnatele che mi si appiccicano sulla faccia mentre cammino in mezzo ai boschi.

Il riso con i piselli.

La gente in coda per acquistare l'ultimo modello di iPhone.

Gli uomini che vanno a farsi le lampade; (posso riuscire anche ad accettare con fatica che ci vada una donna, ma solo l'idea che ci possa andare un uomo mi fa uscire dai gangheri).

Vedere gente che cucina in televisione; (sembra che ormai siano diventati tutti grandi chef e ci tengano a dimostrarlo; basta, non se ne può più: aridatece gli spaghetti aglio e oglio!!!).

Le signore che portano i loro bei cagnolini avvolti in morbide pellicce alla moda.

I tatuaggi che escono da tutte le parti;  (soltanto l'idea che un giornale o un servizio televisivo debba raccontarci in quali parti del corpo è stato fatto l'ultimo tatuaggio di Neviano o Sempronia mi sconvolge).

Il fatto che se uno ammazza un cane rischia una condanna penale e se ammazza un bambino in attesa di nascere esercita un diritto di libertà.

Solo l'idea che a qualcuno possa venire in mente di guardare un reality in televisione.

Gli individui che mi camminano alle spalle; (mi inquietano al punto che devo fermarmi e farli passare avanti).

Le persone che fanno la fila per comprare l'ultimo gusto delle cialde prodotte dalla nota marca di caffè espresso; (ma avete mai provato la vecchia caffettiera napoletana? Perché fare il caffè è un'arte!!!).

Seguiranno aggiornamenti...


venerdì 20 novembre 2015

la croce e la mezza luna

Loro non lo sanno ma la verità è che più fanno attentati più ci rafforzano.
Per islamizzare l'occidente, infatti, sarebbe bastato solo attendere qualche anno.
Proprio nel momento in cui quasi tutta l'Europa aveva aperto le porte ai profughi, in gran parte musulmani, sarebbe bastato attendere che le loro famiglie si stabilissero sul territorio europeo in massa e cominciassero lentamente a colonizzare la sonnolenta cultura occidentale.
E siccome le loro famiglie si riproducono a ritmo almeno triplo rispetto alle sonnolenti famiglie occidentali, nel giro di pochi anni avrebbero avuto la maggioranza anche parlamentare necessaria per proclamare lo stato islamico in tutta L'Europa senza sparare un solo colpo, costringendo le sonnolente donne occidentali a non mostrare più il loro volto gentile in pubblico e i democratici uomini europei ad osservare il ramadan con tutti gli annessi e connessi.
Tutto quello che sono riusciti ad ottenere con questi attentati è invece il risveglio delle radici cristiane degli europei.
"La Francia si riscopre cristiana", titolava solo qualche giorno fa qualche giornale nazionale; perché quello che loro non sanno è che più ci uccidono più ci rendono forti.
E' lo stesso errore commesso duemila anni fa dai gentili pagani, che pensavano di annientare i cristiani dandoli in pasto alle belve feroci nell'arena al cospetto di folle urlanti ed invasate. Ma più ne uccidevano più ne nascevano di nuovi, rafforzati dal sangue dei martiri, fino a conquistare l'impero più potente che la terra abbia mai visto. La stessa cosa succederà se questi fanatici dello stato islamico continueranno a mietere vittime ed a compiere stragi in Europa:
realizzeranno il miracolo di vedere rinascere l'identità cristiana dell'occidente contro la quale non hanno nessuna possibilità di vittoria, perché tra Cristo e Maometto c'è un abisso;
lo stesso abisso che separa la verità dalla menzogna.
E i motivi di questa abissale distanza li ho già spiegati qua.
Adesso hanno dichiarato di attaccare Roma l'8 dicembre, giorno di apertura della porta santa per il Giubileo della misericordia;
dimenticano ancora però che l'8 dicembre è l'Immacolata Concezione di Maria e contro la Madonna si sono già sfracellati diverse volte.
Per ricordarsene basterebbe studiare cosa è successo a Lepanto 500 anni fa o rileggersi la vicenda di Marco D'Aviano.
Ma non so se i figli di Hallah abbiano la storia come materia di studio.



mercoledì 4 novembre 2015

un cuore pensante

Non conosciamo il suo volto né il suo nome, eppure una parte molto profonda di noi ci fa intuire la necessità della sua presenza.
C'è un'ombra di nostalgia in fondo a ogni nostra azione.
Di notte dormiamo, ma il nostro cuore resta sospeso, vigile, veglia.
Non sappiamo se chiamerà forte il nostro nome, oppure se incroceremo i suoi occhi tra la folla.
Non sappiamo come faremo a sapere che quegli occhi sono davvero i suoi.
Quelli che ci cercavano.
Quelli che noi cercavamo.
All'inizio del cammino, l'unica cosa che ci è chiara è l'assenza, e che questa assenza molto rapidamente si trasforma in sete.
Una sete terribile che non viene soddisfatta da nessuna delle bevande che generosamente ci vengono offerte.
Anzi paradossalmente più beviamo, più abbiamo sete.
Non c'è aranciata, né gazzosa, né birra, non c'è bicchiere, né bottiglia, né botte in grado di dissetarci.
Per questo camminiamo, per questo andiamo avanti.
Per cercare la sorgente.
Susanna Tamaro, Un cuore pensante

La sensazione prevalente che mi ha assalito mentre leggevo questo libro è l'incredulità: non credevo ai miei occhi!!!
Molte frasi, descrizioni di stati d'animo e sentimenti le avevo già scritte io quasi identiche.
Possono esistere fenomeni di telepatia letteraria???

martedì 13 ottobre 2015

Una storia americana

Arthur Boyle (Artie per gli amici) è un signore del Massachussetts.
Da buon americano cattolico ha tredici figli, tutti avuti da Judi, unico amore della sua vita.
Si sono innamorati che lui aveva dodici anni e lei undici. Quando si sono sposati, lui ne aveva diciannove.
Insomma, una storia, la sua, alla Frank Capra, regista per cui la vita è sempre una cosa meravigliosa e piena di sorprese, anche quando uno dei tuoi figli presenta un handicap e un altro è morto troppo presto (come è accaduto ad Artie).
E di sorprese Artie ne ha avute due, una cattiva e una buona.
Cominciamo dalla cattiva.
A quarantacinque anni si è ritrovato con un brutto male.
Visite, consulti, operazioni, insomma tutto l’apparato consueto che d’improvviso popola di medici e infermieri le giornate, che diventano un susseguirsi di appuntamenti, sale d’attesa, prelievi, ansie.
Ad Artie viene detto che non ha speranza: gli rimangono al massimo pochi mesi di vita.
Ma Artie ha una famiglia alle spalle.
E questa si attiva.
Dove non arriva il medico, arriva la preghiera; quando la scienza getta la spugna, il credente non ha ancora esaurito le sue chances.
Così, un cognato e un amico lo convincono a farsi accompagnare a Medjugorje.
I medici non sono d’accordo, perché Artie è messo davvero male: le metastasi si sono ormai diffuse. Ma per il terzetto è, semmai, un motivo in più per andare.
In cima al Krizevac, il “malato terminale” avverte un acuto dolore e un forte senso di soffocamento; gli accompagnatori temono che, come dicevano i medici, stia morendo per lo sforzo dell’arrampicata.
Invece Artie è sicuro che la Madonna lo abbia guarito.
Ritornato in America i medici scoprono che il tumore è sparito.
Boyle ha atteso fino allo scorso anno per dare alle stampe il resoconto di quanto accaduto ed il suo libro è diventato un bestseller, dopo aver fatto il giro dei media statunitensi.
Ora il libro esce in Italia per le edizioni Ares: Sei mesi di vita. Ma la Madonna è intervenuta a Medjugorje.
Artie si è affidato a una scrittrice professionista (che ha cofirmato) e, visto che c’era, ha coinvolto personaggi eccellenti come Jim Caviezel (il Gesù di The Passion), Raymond Flynn (ex ambasciatore Usa presso la Santa Sede), Ivan Dragicevic (uno dei veggenti bosniaci, che vive in Massachussetts), Bobby Orr (una leggenda dell’hockey su ghiaccio), una famosa attrice, un direttore di giornale…
Ha fatto un’americanata, insomma, ma è più che altro un botto pirotecnico di gioia. E di riconoscenza alla Gospa.
Al Massachussetts General Hospital dicono che "le possibilità di sopravvivenza in questo stadio del tumore, e con questa velocità di sviluppo, sono pari a zero».
Un altro dei medici che seguivano Artie confessa: «Ogni volta che lo incontro mi sento sicuro che Dio esiste».
Un miracolo della fede? Sì, certo, della fede di pochi: la moglie, il cognato, l’amico del cuore.
Artie stesso non era granché roccioso al riguardo; né i suoi numerosi figli, giovani americani dell’era Obama. Ma adesso, ecco che cosa dice uno di loro, Brian, giocatore di hockey (su ghiaccio pure lui) nella squadra dei New York Rangers:
«La guarigione di mio padre è stata una fonte di conversione per me e per i miei undici fratelli. Ci ha cambiato tutti per sempre».
Due miracoli al prezzo di uno, il secondo più importante del primo. Già, perché lo si dimentica sempre: la guarigione fisica è niente rispetto alla conversione spirituale.

Arthur P. Boyle con Eileen McAvoy Boylen, Sei mesi di vita. Ma la Madonna è intervenuta a Medjugorje (Ares), «con Invito alla lettura di Jim Caviezel, Ivan Dragicevic e molti  altri…».

sabato 3 ottobre 2015

la superficie dell'amore

Non esiste nulla che più dell'amore

occupi sulla superficie della vita umana 

più spazio, e non esiste nulla che più 

dell'amore sia sconosciuto e misterioso.

Divergenza tra quello che si trova in 

superficie e quello che è il mistero 

dell'amore – ecco la fonte del dramma.

Questo è uno dei più grandi drammi 

dell'esistenza umana.

La superficie dell'amore ha una sua 

corrente, corrente rapida, sfavillante, 

facile al mutamento.

Caleidoscopio di onde e di situazioni 

così piene di fascino.

Questa corrente diventa spesso tanto 

vorticosa da travolgere la gente, donne 

e uomini.

Convinti di aver toccato il settimo cielo 

dell'amore – non lo hanno nemmeno 

sfiorato.

Sono felici un istante, quando credono 

di aver raggiunto i 

confini dell'esistenza, e di aver 

strappato tutti i veli, senza residui.

Sì, infatti: sull'altra sponda non è 

rimasto niente, dopo il rapimento non 

rimane nulla, non c'è più nulla.

Non può, non può finire così! Ascoltate, 

non può.

L'uomo e un continuum, una integrità e 

continuità – dunque non può rimanere 

un niente.

L'amore non è un avventura. Prende 

sapore da un uomo intero. Ha il suo 

peso specifico. È il peso di tutto il suo 

destino.

Non può durare un solo momento.

L'eternità dell'uomo passa attraverso 

l'amore. Ecco perché si ritrova nella 

dimensione di Dio

Perché amare vuol dire donare la vita

sprigionare dalle profondità dell'anima 

l'acqua della sorgente, l'anima che 

brucia, arde senza fiamma, ma non 

riesce a ridursi in cenere.


 Karol Wojtyla,  La bottega dell'orefice

mercoledì 23 settembre 2015

Né morte né vita

Il video che segue non è il solito filmato strappalacrime, pur toccando un tema drammatico e apparentemente triste.
A me ha trasmesso un sentimento di gioia e non di malinconia.
Mi ha colpito perché dimostra ancora una volta come l'amore sia molto più forte della morte e alla fine vince sempre.
Mi ha toccato il cuore la leggerezza e, insieme, la profondità con la quale questa madre pronuncia quell'i love you: tre parole che fanno comprendere più di mille discorsi.
Mi ha sorpreso vedere incarnate quelle parole di Paolo, a distanza di circa duemila anni dal giorno in cui furono pronunciate: "Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio".

martedì 15 settembre 2015

Rivoluzioni

Si racconta che il rivoluzionario sovietico Анатолий Васильевич Луначарский (1875– 1933) dopo la "primavera" del '17 fu membro attivo nella difesa del patrimonio storico e culturale della Russia e, disconoscendone l'enorme eredità spirituale, si occupò di fare propaganda antireligiosa in tutta l'Unione.
Conosciuto anche come "l'uomo che fucilò Dio": Anatolij Vasil'evič Lunačarskij presiedeva il Tribunale che iniziò un vero e proprio processo a Dio per crimini contro l'umanità.
Sul banco degli imputati fu deposta una bibbia e il tribunale, dopo accurata istruttoria, condannò Dio alla pena capitale.
La mattina seguente fu eseguita la sentenza:
cinque raffiche di mitra contro il cielo.
Il corpo senza vita della vittima, però, non fu possibile rinvenire in alcun luogo, tanto che, da fonti ritenute da più parti assolutamente attendibili, parrebbe che a tutt'oggi ci sia ancora una cellula del partito intenta a cercarlo.

mercoledì 2 settembre 2015

Come stai?

Cosa farei se vedessi un uomo sul cornicione di un ponte con i piedi pronti al grande balzo?
Jamie Harrington, dublinese di sedici anni, è salito sul ponte, si è seduto accanto all’aspirante suicida e gli ha gettato al collo solamente due parole: «Stai bene?».
Per tutta risposta l’uomo si è messo a piangere.
In tre quarti d’ora di monologo ha concentrato le miserie di una vita.
La sensazione di essere invisibile, inutile, inadeguato.
Jamie gli ha lasciato finire il racconto e poi ha detto: «Stanotte non riuscirei a dormire se ti sapessi in giro da solo per la città. Chiamerò un’ambulanza perché ti porti in ospedale».
L’uomo alla deriva si è lasciato trarre in salvo: più per non deludere il nuovo amico che per altro.
Si sono scambiati i numeri di telefono.
A tre mesi da quella notte lo smartphone di Jamie ha suonato e lui ha subito riconosciuto la voce: «Stai bene? Sono state quelle due parole a salvarmi».
«Com’è possibile che ti siano bastate due parole?», gli ha chiesto Jamie.
«Immagina se per tutta la vita non te le avesse rivolte mai nessuno».
Stai bene. Nel comunicare col prossimo, persino con le persone amate, si preferisce usarne altre più intrusive. «Come è andata?», «Con chi sei stato?». E quando si chiede a qualcuno come sta è solo per recitare una formula di cortesia che spesso non prevede di prestare attenzione alla risposta.
Eppure, se pronunciate a cuore aperto, quelle due parole pare facciano miracoli. L’uomo che voleva togliersi la vita ne ha appena creata una nuova, con la collaborazione decisiva di sua moglie.
Dice che aspettano un maschio e che lo chiameranno Jamie.
Massimo Gramellini 
La stampa» del 7 agosto 2015

giovedì 20 agosto 2015

la statua della responsabilità

Quello che io descrivo come vuoto esistenziale rappresenta un vero problema per la psichiatria contemporanea.
Sono sempre più numerosi i pazienti che si rivolgono al medico lamentando un sentimento di vuoto e non senso.
A mio parere questo sentimento è da ricondurre a due cause principali:
a differenza degli animali, nessun istinto dice all'uomo quale sia il suo bisogno;
e a differenza degli uomini di un tempo, nessuna tradizione gli dice più quale sia il suo dovere.
Così l'uomo si ritrova a non sapere più cosa propriamente vuole!
Allora, egli vuole soltanto quel che gli altri fanno (conformismo del mondo occidentale) o fa soltanto quel che gli altri vogliono (totalitarismo del mondo orientale).
La scomparsa delle tradizioni riguarda però soltanto i valori, non il senso; mentre i valori sono universali, il senso è qualcosa di unico e specifico: esso varia non solo da persona a persona ma anche da situazione a situazione.
E l'unico mezzo per trovare il senso di una concreta situazione è ciò che si chiama coscienza.
Ne consegue che in un tempo come il nostro, cioè nell'epoca del vuoto esistenziale, l'educazione  non può limitarsi a trasmettere usi e nozioni, ma deve preoccuparsi di affinare le coscienze.
In un'epoca in cui per molti uomini i dieci comandamenti hanno perduto la loro incondizionata validità, l'uomo ha bisogno d'imparare ad ubbidire ai diecimila comandamenti che gli detta la voce della sua coscienza.
La coscienza ci lascia scoprire il senso che ci manca, e che non può esserci dato arbitrariamente.
Noi non possediamo la libertà d'inventare un senso qualunque: abbiamo la responsabilità di scoprire in concreto "il" senso!
Con questo non si dice nulla contro la libertà, ma dobbiamo renderci coscienti che la libertà minaccia di degenerare in arbitrio se non è vissuta come responsabilità.
Per questo motivo auspico che la Statua della Libertà alzata sulla costa orientale degli Stati Uniti sia presto completata da una Statua della Responsabilità sulla costa occidentale.
                         Victor Frankl 





venerdì 10 luglio 2015

il poema dell'uomo Dio

Quanto di più bello abbia mai letto in tutta la mia vita.
E non sono certo uno che ha letto poco.
Sto parlando dell'opera di Maria Valtorta sulla vita di Gesù, come Lui stesso gliel'ha rivelata.
Un opera straordinaria per ricchezza di contenuti: poetica e profonda, che non lascerà nessuno indifferente, a prescindere dal credo che professa, e anche se non professa alcun credo.
Possono leggerla cattolici, cristiani, atei e agnostici: arricchirà chiunque di tesori inestimabili.
Anche se fosse solo un opera creativa, un romanzo tanto per intenderci, meriterebbe comunque di essere letta, poiché si tratterebbe dell'opera letteraria più bella mai scritta.
In realtà è molto di più: è una rivelazione soprannaturale.
Maria Valtorta è stata solo "la penna" che ha scritto questo capolavoro: l'autore è Dio stesso, e su questo non ho alcun dubbio, perché nessun uomo può scrivere pagine così toccanti.
Sulla natura divina delle rivelazioni ricevute l'autrice stessa non ha mai lasciato adito a fraintendimenti: ha sempre detto di aver descritto solo quello che "vedeva" con gli occhi dello spirito.
Sono stati compiuti studi di carattere teologico, storico ed archeologico su questo grandioso affresco sulla vita del Signore, e tutti hanno confermato la genuinità del racconto scritto dalla Valtorta, la quale descrive con minuzia di particolari ambientazione geografica, paesaggi e urbanistica della terra santa pur non avendovi mai messo piede, perché crocifissa a letto da una paralisi sin dalla più giovane età.
Alcune delle più recenti scoperte archeologiche hanno confermato tutti i particolari descritti dall'autrice riguardo a molte città attraversate dal gruppo apostolico guidato da Gesù duemila anni fa.
Ma la cosa più sorprendente è la figura di Cristo che emerge da questo straordinario ritratto:
un Cristo di una umanità e tenerezza sconvolgente, che riesce a trattare ogni anima con una delicatezza che commuove; indimenticabile è la tenerezza e l'amore che dimostra a Sua madre e soprattutto la pazienza incredibile che impiega nel cercare di fare tutto il possibile per convertire il cuore traviato di Giuda.
La Chiesa non ha ancora riconosciuto come rivelato il contenuto dell'opera e forse non lo farà mai: ha semplicemente permesso di leggerla come un opera letteraria.
Non fatevi spaventare dalla mole (dieci libri), poiché vi garantisco che una volta iniziata non potrete più staccarvene!!!
Vi ho convinti???   

mercoledì 1 luglio 2015

note su tela

"Come ambasciatore dell'Unicef ho visitato villaggi sperduti nel cuore della Tanzania, dove, quando eravamo molto fortunati, le condizioni di viaggio ci permettevano solo il lusso di portare con noi una tastiera.
Uno strumento semplicissimo, eppure l'emozione che vedevo sulle facce di quei bimbi e ragazzi che incontravano la musica per la prima volta, rimane per me tra i ricordi emotivamente più forti".
A parlare è Lang Lang, il pianista cinese più acclamato del pianeta.
Devo confessare che non l'avevo mai sentito suonare: ieri sera, per caso, mi sono imbattuto nel concerto che ha tenuto al teatro degli Arcimboldi di Milano, trasmesso in diretta su Rai5, Radio3 e in streaming sul portale www. classica. rai. it.
Sono rimasto folgorato.
Sembra che Lang sia famoso, oltre che per la tecnica mostruosa e il talento precocissimo, perché accompagna le sue esecuzioni con una mimica del tutto particolare, mediante la quale esterna, forse in maniera troppo plateale, i sentimenti che prova suonando.
A me ha dato l'impressione di un artista che tocca i tasti del pianoforte come se stesse dipingendo una tela: con grazia e delicatezza.
Per lo stesso motivo è anche detestato da una parte della critica musicale, che gli rimprovera un atteggiamento troppo "romantico" nei confronti delle opere che esegue.
Per quanto mi riguarda, ritengo che l'espressione corporea di questo musicista sia un valore aggiunto, perché aiuta a cogliere meglio la bellezza e la profondità delle composizioni musicali che interpreta, come se dipingesse note su tela.



lunedì 22 giugno 2015

contrariamente a quanto appare sui media

"Con la presente AGAPO – Associazione Genitori e Amici di Persone Omosessuali - dichiara la sua piena adesione alla manifestazione a difesa della famiglia e contro il DDL Cirinnà, in quanto la proposta di legge, contrariamente a quanto appaia sui media, non fa il bene delle persone omosessuali.
Il messaggio che tale legge trasmette ai nostri figli con tendenza omosessuale verrebbe essere il seguente: “la relazione tra due uguali è uguale a quella tra due differenti, vale a dire che A + A = A + B”.
Ciò non è vero e, ciò che non è vero, non può far il bene dei nostri figli.
Le persone omosessuali possono realizzare la felicità nella vita come tutti gli altri, purché sappiano guardare con realismo la propria condizione.
Il progetto Cirinnà rende ciò più difficile, perché oscura il ruolo dell’alterità nelle relazioni affettive, rendendo l’uomo e la donna intercambiabili.
Fa credere che l’alterità nell’amore non debba manifestarsi nel corpo – come se l’unione sponsale non fosse così fortemente corporea.
Fa confondere amore e amicizia, mette a repentaglio quest’ultima non riconoscendola e non separandola dagli atti sessuali.
La legge proposta rischia di aggravare la confusione nelle persone con tendenza omosessuale e di spingere molti dei nostri figli verso grandi illusioni-delusioni e – di conseguenza – verso comportamenti spesso autolesionisti, come dimostrano i dati socio-sanitari dei paesi che già hanno introdotto il matrimonio gay.
Il matrimonio gay rappresenta un nonsenso sul piano antropologico, una grave ingiustizia sul piano sociale (riservandogli un trattamento medesimo all’unione che fa nascere e crescere le generazioni successive) e, come sopra delineato, ci preme sottolinearlo, le prime vittime della legge sarebbero molte delle stesse persone omosessuali".
                  Comitato Direttivo di AGAPO
                                      fonte: www.agapo.net

venerdì 12 giugno 2015

la bellezza del mondo

“La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l’altro d’angoscia, e taglia in due il cuore.”
 Virginia Wolf


venerdì 5 giugno 2015

Un miracolo d'arte

Un miracolo d'arte sorto per custodire un miracolo di fede; questa è la definizione più appropriata per descrivere una delle opere più belle esistenti al mondo: il duomo di Orvieto.
Nel 1263 un prete boemo tormentato dal dubbio circa la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nell'ostia consacrata, si recò in pellegrinaggio a Roma per rafforzare la sua fede. Sulla via del ritorno, fermatosi a Bolsena per celebrare la messa sull'altare della Basilica di Santa Cristina, al momento della consacrazione vide stillare dall'ostia spezzata alcune gocce di sangue, che bagnarono il panno di lino usato nelle funzioni, il Corporale.
Al sacerdote mancò la forza di continuare il rito; pieno di confusione e sorpresa cercò di nascondere il miracolo  avvolgendo le specie eucaristiche nel corporale e si recò in sagrestia.
Durante il percorso, però, alcune gocce di sangue caddero anche sui marmi del pavimento e dei gradini dell'altare.
Appresa la notizia del prodigio, il Papa Urbano IV, che in quel momento si trovava ad Orvieto, mandò il vescovo del luogo a verificare l'accaduto, con il mandato di portare ad Orvieto il corporale insanguinato.
Accertata l'autenticità dell'evento, Urbano IV decise di istituire la festa del Corpus Domini per tutta la Chiesa.

Per celebrare adeguatamente il miracolo, inoltre, decise la costruzione ad Orvieto di una nuova cattedrale che fosse degna di conservare le sacre reliquie.
Il miracolo di Bolsena divenne presto il più famoso del secolo, celebrato e commemorato nell'arte e nella tradizione.

La sua rappresentazione più famosa si trova in un affresco di Raffaello, nelle stanze vaticane, nel quale papa Giulio II assiste alla messa di Bolsena.
Anche il Duomo  di Orvieto, intitolato a santa Maria Assunta, è stato celebrato nei secoli da artisti, scrittori e  poeti, e non mancherà di sorprendere chiunque  deciderà di visitarlo.
Vi stupiranno le sue ardite e slanciate proporzioni –  inno al desiderio di infinito e di ascesa verso il cielo – e la sua mirabile e suggestiva unicità, che sfugge a ogni semplicistica classificazione di stile.
Io ci sono stato l'estate scorsa, e nonostante l'avessi già visitato molti anni fa, sono rimasto senza fiato; per quanto mi riguarda, la sua immensa bellezza è una prova indubitabile dell'esistenza di Dio: non si può costruire un'opera così perfetta senza possedere la reale percezione della grandezza  della Persona alla quale s'intende dedicarla.







mercoledì 20 maggio 2015

il cielo sopra Verona

Qualche tempo fa facevo alcune riflessioni sull'amicizia.
Mi chiedevo se le persone che il destino ci mette accanto sono capitate per caso nella nostra vita o, invece, c'è Qualcuno che le sceglie affinché possano aiutarci a percorrere meglio il cammino che dobbiamo intraprendere.
Mi sono raffigurato, allora, tutti i volti che mi hanno accompagnato in questi anni: li ho guardati uno per uno e sono giunto alla conclusione che, senza ombra di dubbio, niente succede per caso nella vita.
Qualcuno ci ha pensati insieme prima della creazione del mondo.
Prima di creare il cielo, il mare, gli uccelli, i pesci, le piante, i fiori, Qualcuno pensava a noi ed alla meraviglia che avremmo provato nel contemplare tanta bellezza.
Le stesse riflessioni ho fatto recentemente, nel preparare l'incontro con alcuni amici bloggers che sono venuti a trascorrere alcune ore a Verona.
Ho sperimentato ancora una volta come non possa essere frutto del caso il nostro incontro:
mi si è presentata ancora una volta alla mente e al cuore la consapevolezza che Qualcuno ci ha messo insieme, seppur per trascorrere un brevissimo tratto di strada in compagnia.
Adesso però basta con le parole, perché in certi casi le immagini sono eloquenti più di mille discorsi.
Non sono riuscito a caricare le foto in questo post per problemi tecnici, ma neanche questo riesce a turbare la pace che fiorisce tranquilla nel mio cuore.
Potete trovarle nei blog di Ambra, di Annamaria e di Stefano.
Un grazie speciale per la luce straordinaria che ha illuminato la nostra passeggiata e che nasce da dentro, prima di spandersi fuori;
per la simpatia di voi tutti che rende ogni incontro unico e irripetibile;
per la presenza di Anna che ci ha arricchiti di una gioia inaspettata;

per Sandra, che a malincuore è stata costretta a rimanere a casa, ma ciascuno di noi l'ha sentita più vicina che mai;
per l'onore che ho avuto di avervi ospiti nella casa che abito;
per l'emozione che ho provato condividendo con voi la vita che faccio e, infine, per l'aiuto dall'alto, che ci ha dimostrato ancora una volta come una città già bella di suo possa apparire ancora più bella se a guardarla sono persone di buona volontà, capaci di cogliere l'incanto delle cose create con spirito grato.

martedì 12 maggio 2015

Songs in the key of life

Nel 1996 un maturo giovanotto di colore ricevette la laurea honoris causa in "Dottore della musica" all'Università dell'Alabama.
In quell'occasione raccontò divertito un aneddoto: "Molti anni fa alcune persone mi dissero:
'Tu hai tre handicap insormontabili: sei cieco, sei nero e sei povero; non farai mai strada nella vita'.
Ma Dio mi disse: 'Io ti arricchirò del carisma dell'ispirazione, per trasmetterlo ad altri e perché con la tua musica tu possa incoraggiare il mondo a perseguire l'unità, la speranza e l'allegria'.
Ho creduto a Lui e non a loro".
E fu proprio così che andarono le cose:
grazie a quella straordinaria ispirazione che sentiva crescergli dentro quel musicista appassionato della vita diventò una leggenda.
Oggi è unanimemente considerato uno dei più grandi geni della storia della musica.
Quel ragazzo si chiamava Steveland Twiki Hardaway Judkins ed era nato a Saginaw il 13 maggio 1950.
La storia, però, lo ricorderà sempre col suo nome d'arte: Wonder (meraviglia).
Buon compleanno Steve!!!



martedì 14 aprile 2015

bestiari(o) familiar(e)

Capita raramente di ascoltare un disco così bello.
Quelle poche volte che succede, allora, nasce in maniera naturale l'esigenza di farlo conoscere alle persone che ti stanno a cuore, circostanza che mi induce a scrivere una vera e propria recensione; la prima della mia vita.
Il disco si chiama "Bestiari(o) familiar(e)" e ne è autore Alessio Arena, l'uomo con la finestra in petto di cui vi avevo già parlato qui.
Napoletano, classe 1984, da anni trasferitosi più o meno stabilmente a Barcellona, Alessio è figlio d'arte: suo padre è Gianni Lamagna, virtuoso della Nuova Compagnia di Canto Popolare, gruppo che, insieme a pochi altri, ha contribuito in maniera determinante a reinterpretare la tradizione musicale napoletana, schiudendole orizzonti di sconfinata modernità.
Vissuto per alcuni anni nel quartiere Sanità (dove ha insegnato musica in una scuola), Alessio si è laureato in letteratura Ispanoamericana con una tesi sullo scrittore cubano Reinaldo Arenas.
Bestiari(o) familiar(e)” è il suo primo album plurilingue, (come quelli di Lhasa de Sela, alla memoria della quale è dedicato l’intero lavoro) registrato tra Barcellona (con gli arrangiamenti e la produzione della pianista Clara Peya e del batterista Toni Pagès) e Napoli (sotto l’egida della Nuova Compagnia di Canto Popolare) e prodotto da diMusicaInMusica.
Tutto il disco è illuminato da una sintesi mirabile tra cultura ispanica e tradizione mediterranea, espressione di due metropoli simbolo: Barcellona e Napoli: «così lontane, così vicine. Ci sono i suoni del mio presente, ovvero Barcellona, dove provo a sbarcare il lunario nutrendo la mia musica e la mia scrittura. E ci sono i suoni del mio passato: Napoli, con un eterno ritorno a casa».
Il primo singolo estratto, Tutto quello che so dei satelliti di Urano, gli ha fatto vincere il festival della canzone d’autore italiana.
Alessio nasce però come scrittore: ha già pubblicato quattro libri; lui stesso racconta come a sei anni sua madre sia andata a vivere in un altra città e perciò ha cominciato a scriverle lettere interminabili in cui le raccontava vicende della vita quotidiana più o meno verosimili.
Ma libri e dischi sono frutti diversi della stessa fantasia creativa: «La concisione della canzone mi proietta nell’autobiografia, mi spinge a mettere a fuoco sentimenti e storie e persone della mia vita attuale e passata, meravigliose “bestie” a cui consegno un lavoro discografico che ha un po’ il senso di un testamento».
Ed effettivamente un testamento sembra voglia essere questo disco, espressione di una maturità compositiva e letteraria sorprendente; frutto di un lavoro profondo e paziente che lo rendono un autentico capolavoro. Sarebbe superfluo, pertanto, sottolineare l'importanza di un brano rispetto agli altri; ogni composizione appare risplendere di una luce di ineffabile bellezza, contribuendo a realizzare un'opera di originalissima integrità e suggestione.
Ci limitiamo a dire soltanto che il disco si divide in due parti che fanno riferimento la prima all’attualità («Avui»), caratterizzata da brani cantati in lingua catalana e castigliana; la seconda al passato («Ajere»), cantata in italiano e napoletano,
In ogni singola nota risplende tutta la gioia e la sofferenza di trent'anni di vita trascorsa a cercare la bellezza delle cose quotidiane più semplici, capaci di acquistare ciascuna un senso insospettato, e contribuendo a fare della vita "una geometria divina" che esige il caricarsi "l'anima in spalla" e volare via lontano da se'.
Il disco è acquistabile sulle piattaforme digitali più comuni, non avendo purtroppo ancora trovato in Italia un'etichetta che avesse il coraggio di investire sull'enorme talento di questo ragazzo.
E' questa la cosa che dispiace di più, poiché è davvero desolante constatare come uno dei dischi più belli degli ultimi anni non possa trovare adeguata diffusione nel nostro paese.


sabato 28 marzo 2015

11° incontro blogger






Se ami qualcuno portalo a Verona .....…
perché Verona è la città dell’amore!
Questo è lo slogan utilizzato dall'Ufficio Turistico per stimolare le visite alla città scaligera. 
Non è un caso, infatti, che Shakespeare abbia ambientato proprio qui la drammatica vicenda di Romeo e Giulietta: la storia d'amore più famosa di tutti tempi.
Il mito di Romeo e Giulietta è il percorso di un sogno, come un sogno è l’amore. 
Verona custodisce un mito che lieve rivive nelle piazze antiche, fra i vicoli ed i cortili in penombra.
Devo confessare che la prima volta che ci ho messo piede sono rimasto catturato anch'io dall'atmosfera quasi magica che ti avvolge in particolari periodi dell'anno percorrendo alcune stradine del borgo antico: ho assaporato subito tutto il fascino misterioso che promana dalla città e me ne sono letteralmente innamorato.
Qui è facile immaginare storie, figure ed eventi del passato.
Ma una città così bella fa innamorare proprio tutti:
le sinuose anse dell’Adige, le romantiche strade medioevali, i mille suggestivi scorci, la musica… suscitano da sempre emozioni indimenticabili.
E' stata definita "la piccola Roma", perché è la città con maggiore densità di aree archeologiche al mondo, dopo appunto la città eterna; ma anche perché la sua conformazione ricorda un po' Roma: infatti il fiume Adige che l'attraversa ricorda molto il Tevere; l'Arena ricorda molto il Colosseo e il Teatro Romano da l'idea dei Fori imperiali in miniatura.
Quale città migliore di questa, allora, per organizzarvi l'11 incontro blogger, promosso e sostenuto dalle tre "donzelle" Ambra, Erika e Sandra, che coinvolge un affiatato gruppo di amici provenienti da tutta Italia che hanno in comune la passione per la scrittura in web???
Il giorno prescelto è il 17 maggio!!!
La speranza è quella che si possano aggiungere nuovi amici, cogliendo proprio l'occasione di una visita alla città dell'amore.
Vi ho convinti?  No???
Allora aggiungo anche che la giornata sarà allietata da un lauto pranzo presso la trattoria "alla colonna", in largo Pescheria vecchia, 4 (molto vicino piazza Erbe); costo complessivo 25 euro (+ eventuale mancia se ci tratteranno bene).
Appuntamento alle ore 10 e 30 al centro della famosissima piazza Brà (nella quale insiste l'Arena) davanti alla statua equestre di Vittorio Emanuele II (dieci minuti a piedi dalla Stazione e 5 minuti dal parcheggio Cittadella).
Dalla Stazione si può raggiungere il centro anche in autobus prendendo i nn. 11 o 12 o 13 (marciapiede A) che fermano proprio in p.zza Bra.
                    Vi aspetto numerosi allora!!!!

lunedì 16 marzo 2015

dolci e banane

E vabbè allora ditelo che ce l'avete con me:
dopo Coelho, Toscani e Adinolfi mi tocca rivalutare anche Dolce e Gabbana adesso!!!
Perché???
Ma per le meravigliose parole che seguono di Domenico Dolce:
"Non abbiamo inventato mica noi la famiglia.
L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre.
O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo.
E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre.
Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni».
E ha aggiunto: «Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere.
È anche bello privarsi di qualcosa.
La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia".
Come era prevedibile, le lobby gay,
finanziate con i miliardi che mettono loro a disposizione le multinazionali che speculano sulla fecondazione, hanno subito lanciato la scomunica contro i due stilisti: "boicottate i loro prodotti".
A questa crociata si è subito unito El "Ton" John dichiarando che i suoi figli sono tutt'altro che sintetici!!!
Vi raccontiamo allora la triste storia del piccolo Zac, "figlio" della rockstar inglese:
dopo essere stato partorito nel corpo della madre "affittata", a pochi minuti di vita viene strappato dal petto della donna e consegnato a Elton John ed al suo compagno, che se lo portano via.
Per due anni il bambino non ha fatto altro che piangere, come ha rivelato lo stesso cantante in numerose interviste, al punto da indurre questi a far "prelevare" dal seno della madre (che vive a diecimila chilometri di distanza) il latte quotidiano e farlo arrivare mediante un jet privato (lui se lo può permettere) a Londra, e tutto questo per provare almeno a lenire la sofferenza del piccolo, e davvero sfortunato, Zac!!!
Mi vengono alla mente, allora, le profetiche parole dell'attore Rupert Everett, anch'egli omosessuale, e subito emarginato un minuto dopo averle pronunciate: "non riesco ad immaginare niente di più triste di un figlio con due papà" (o due mamme)!!!

venerdì 27 febbraio 2015

I libri non hanno bisogno degli autori

“I libri non hanno alcun bisogno degli autori, una volta che sono stati scritti”, sostiene la scrittrice del momento: Elena Ferrante.
Dal premio Pulitzer ad Alice Sebold, passando per i recensori più taglienti del New York Times, del New Yorker, del Boston Globe e dell’Economist, Elena Ferrante ha conquistato non solo la più autorevole critica letteraria americana, ma anche personaggi insospettabili: il regista John Waters, che la elegge a sua musa letteraria e l’attrice Gwyneth Paltrow.
Ma chi è Elena Ferrante? Sembra che nessuno lo sappia con certezza.
Mentre i libri in cui l’autrice sembra raccontare molto della propria vita stanno spopolando nel mercato editoriale italiano ed internazionale, l'autrice non è mai apparsa in pubblico, né ha mai rivelato la sua vera identità.
Sappiamo soltanto che è napoletana (o napoletano, visto che anche il sesso è tutt'altro che certo), poiché dalla sua penna emerge una Napoli descritta come solo chi ci è cresciuto potrebbe fare.
Ferrante usa una voce narrante che negli ultimi romanzi sembra assumere tratti sempre più concreti: quello di una donna ormai sessantenne, una scrittrice, il cui nome è Elena.
È tutto nelle mie pagine, sembra dirci l’autrice, cercatemi lì se volete.
Ma alla gente questo sembra non bastare, vuole sapere; anche perché, e questo sorprende ancora di più nel paese dei segreti di Pulcinella, chi sia davvero la Ferrante resta un mistero anche nella stretta cerchia degli addetti ai lavori.
A parte i suoi editori, nessuno lo sa.
L’autrice è dispersa, esattamente come Lila, la protagonista “negata” delL’amica geniale':

Sono almeno tre decenni che mi dice di voler sparire senza lasciare traccia, e solo io so bene cosa vuole dire. Non ha mai avuto in mente una qualche fuga, un cambio di identità, il sogno di rifarsi una vita altrove. […]. Il suo proposito è stato sempre un altro: voleva volatilizzarsi; voleva disperdere ogni sua cellula; di lei non si doveva trovare più niente. E poiché la conosco bene, o almeno credo di conoscerla, do per scontato che abbia trovato il modo di non lasciare in questo mondo nemmeno un capello, da nessuna parte.

Ferrante pubblica da più di venti anni e forse la curiosità sulla sua identità è aumentata grazie al suo successo. Ma porta anche il segno di una crescente insofferenza per la sottrazione ai valori dominanti nell’età della trasparenza.
Come si permette di negarsi alla visibilità, di rifiutare il rito dei riconoscimenti, di irridere i meccanismi narcisisti trionfanti (o di inventarne uno tutto suo, oltranzista e spiazzante)?
In questi venti anni è come se il gesto semplice di non apparire avesse assunto un carattere equivoco solo perché contraddice una pretesa che, grazie alle tecnologie, si è insediata nella nostra sensibilità generando una nuova suscettibilità: tutto è accessibile, tutto si può (e dunque si deve) sapere.
La resistenza con cui Elena Ferrante si cela è perciò ammirevole: smaschera qualcosa di nascosto, evoca qualcosa di stregonesco, ovvero il dominio dell’onnipresenza.
E rende ridicoli i giochi di società intorno alla sua identità (a cui peraltro è ovviamente difficile sottrarsi).

domenica 15 febbraio 2015

Restare a bordo

Nel mondo dello spettacolo trent'anni di unione sono un record?
«Sì, una cosa da Guinness dei primati: una benedizione che mio marito e io ci piacciamo ancora e ci rispettiamo profondamente.
Siamo diversi: io produttrice e attrice e responsabile della tenuta qui in Toscana, lui eterno trovatore.
Ci siamo avvicinati, in questi trent'anni, non allontanati: uniti da rispetto e ammirazione, due individui che dividono la stessa sensibilità.
E anche se spesso siamo in paesi o continenti diversi abbiamo voglia di vederci, siamo fortunati: mi intristisce vedere amici che si arrendono così presto nel loro matrimonio se le cose non vanno per il verso giusto.
Quello che ho imparato io è che non puoi avere un matrimonio di trent'anni senza alti e bassi, devi stare a bordo, e quando un problema grosso lo risolvi il rapporto diventa più maturo.
Il matrimonio non può essere sempre una navigazione serena perché la vita non è una navigazione serena.
Ecco, la formula finché morte non vi separi noi l'abbiamo presa sul serio, non è una cosa che si dice in chiesa a vanvera e poi come va va. Cercheremo di stare insieme per sempre e lavorare insieme su quello che non va.
È una cosa poco rock? Da conservatori? Così sia»

Queste non sono parole di una donna devota e bigotta, ma nientedimeno che di Trudy Styler, moglie di Sting, la rockstar dalla quale ha avuto quattro figli. 
Oltre alla passione per la musica, condividono anche quella per l'Italia, dove vi si recano appena possibile: hanno comprato una casa immersa nel verde in Toscana.
Ed a questo proposito Trudy aggiunge:
qui Sting viene a scrivere la sua musica ogni estate». «L'idea che mi ero fatta della Toscana si era sviluppata attraverso l'arte, i dipinti religiosi del Rinascimento: ricordo che da bambina vidi un quadro rinascimentale illuminato dalla luce del Paradiso e quando, da adulta, venni in Toscana per la prima volta, vidi che quella non era inventata, non era l'ipotesi di come fosse la luce del Paradiso, ma era la luce della Toscana. 
Questo è il Paradiso, pensai quando arrivai qui per la prima volta, dissi a me stessa ecco quella luce. In Toscana è nata nostra figlia Coco, 24 anni fa, a Pisa, nel pieno dell'estate, nel pieno di quella luce».



venerdì 6 febbraio 2015

Trisomia 21

"Ho avuto come padre un uomo fuori dal comune che, per scelta, ha deciso di avere un destino fallito in partenza, un pessimista il cui realismo era animato da una formidabile speranza. In un mondo in cui non si parla che di sofferenza, miseria ed ingiustizia come poter affermare che la vita può essere bella, molto bella?».
Sono parole di Clara Lejeune, figlia di Jerome Lejeune, nato nel 1926 a Montrouge sur Seine, il primo scienziato a scoprire la più diffusa anomalia genetica, la cosiddetta trisomia 21, cioè l'alterazione che determina la sindrome di down, altrimenti detta mongolismo.

Sino alla sua scoperta si credeva che il mongolismo fosse una tara razziale, oppure che fosse determinato da genitori alcolisti o sifilitici. Lejeune dimostrò che non vi era nulla di disdicevole, nei genitori di quei bambini, nessuna degenerazione razziale, nessuna contagiosità, in quelle creature in cui era avvenuta la triplicazione di un cromosoma, un eccesso di informazione genetica, e che vengono colpite nella facoltà dell'intelligenza, dell'astrazione, anche se conservano integre affettività e memoria.
Per questa scoperta, e per altre che la seguirono, Lejeune ottenne innumerevoli riconoscimenti internazionali, premi ed onoreficenze. 
Nel novembre 1962, Jérôme si vede conferire il «premio Kennedy»; nell'ottobre 1965, diventa titolare della prima cattedra di genetica fondamentale a Parigi.
Tutto induce alla speranza: la sua scoperta e la pubblicità che ne viene fatta nel mondo scientifico, pensa, stimoleranno la ricerca, e permetteranno la predisposizione di cure idonee per guarire i bambini e dare una speranza ai loro genitori. Le famiglie dei malati, attirate dalla fama internazionale di Jérôme e dalla sua accoglienza, si rivolgono sempre più numerose a lui.
Egli cura diverse migliaia di giovani pazienti, venuti a consultarlo dal mondo intero o seguiti per corrispondenza. Aiuta i genitori a comprendere e ad accettare questa prova in una visione cristiana: questi bambini trisomici, creati a immagine di Dio, sono destinati a un avvenire eterno dove non rimarrà nulla delle loro infermità. Egli li conforta con la sicurezza che il loro bambino, nonostante un grave deficit intellettivo, traboccherà di amore e di tenerezza.
Nell'agosto 1969, la società americana di genetica conferisce a Jérôme il «premio William Allen Memorial», la più alta onorificenza che possa essere concessa a un genetista, e preludio alla sicura consegna del premio Nobel.
Fin dal suo arrivo a San Francisco, dove deve venirgli consegnata, Jérôme percepisce nettamente che si sta progettando di sfruttare la sua scoperta per autorizzare l'aborto dei trisomici.
Il pretesto è che sarebbe crudele, disumano, lasciar venire al mondo dei poveri esseri destinati a una vita inferiore, e che rappresentano un carico intollerabile per la loro famiglia. Jérôme trema: «Con la mia scoperta, si dice, ho reso possibile questo calcolo vergognoso!»
Dopo la consegna del premio, deve pronunciare davanti ai suoi colleghi una conferenza. 
Gli viene in mente una celebre frase di sant'Agostino: «Due amori hanno fatto due città: l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio ha fatto la città terrestre; l'amore di Dio fino al disprezzo di sé ha fatto la città celeste».
Poco importa la sua quotazione nel mondo scientifico, parlerà, dicendo chiara la verità a tutti!
La natura corporea degli uomini, spiega, è contenuta tutta intera nel messaggio cromosomico, fin dal primo istante del concepimento; questo messaggio fa del nuovo essere un uomo, non una scimmia, né un orso; un uomo di cui tutte le potenzialità fisiche sono già incluse nelle informazioni date alle sue prime cellule.
A queste potenzialità, che saranno al servizio della sua vita intellettiva e spirituale, nulla sarà più aggiunto: è tutto lì.
Conclude con chiarezza: la tentazione di sopprimere con l'aborto i piccoli bambini malati va contro la legge morale, di cui la genetica conferma la fondatezza; questa morale non è una legge arbitraria.
Non un solo applauso: silenzio ostile o imbarazzato tra questi uomini che sono l'élite della sua professione.
Jérôme scriverà poi a sua moglie: «Oggi, mi sono giocato il premio «Nobel» di medicina»; tuttavia è in pace con la sua coscienza. 
Confida al suo diario intimo: "Il razzismo cromosomico viene brandito come un vessillo di libertà; che questa negazione della medicina, di tutta la fratellanza biologica che unisce gli uomini, sia l'unica applicazione pratica della conoscenza della trisomia 21 è più che uno strazio".
Purtroppo, negli ultimi anni la ricerca sulla sindrome di Down, non interessando più al mondo scientifico – in quanto il problema è risolto con l’aborto selettivo – è stata pressochè abbandonata; l'uomo ha dimostrato in questo caso di essere meno compassionevole dei cani, come dimostra il bellissimo video che segue. 
Jerome è salito in cielo nel 1994, lasciando quattro figli e ventisette nipoti; per iniziativa di Giovanni Paolo II, suo grande amico, la Chiesa ha dato iniziato al suo processo di beatificazione.

venerdì 30 gennaio 2015

God must be a boogie man

Una mattina di alcuni anni fa l'arcivescovo di New York Edward Egan andò in visita nella scuola elementare della parrocchia di Saint Mark a Harlem, in una zona molto povera del quartiere abitata da afroamericani.
In un salone gremito all'inverosimile da genitori e parenti, finita la recita dei bambini, Egan cerca di guadagnare faticosamente l'uscita, ma tra la folla che si accalca per salutarlo c'è un vecchio negro dall'aria sofferente, in carrozzella, che gli allunga la mano, e quando riesce a stringere quella del cardinale lo attira a sé - come uno che debba confidare a bassa voce un segreto.
Infatti all'orecchio dell'arcivescovo il vecchio sussurra con la poca voce che ha in corpo: «Madre Katharine mi pagò le lezioni di pianoforte!» Egan, capendo a stento nella calca ciò che l'uomo gli sta dicendo, non trova di meglio che esclamare: «Come è stata gentile, madre Katharine!». E poi: «E lei, signore, come si chiama?» «Mi chiamo Lionel Hampton», risponde l'anziano invalido.
Lionel Hampton è una leggenda del jazz, uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi.
Ed era quell'uomo in carrozzella che stava davanti ad Edward Egan nella scuola di una parrocchia di Harlem in una mattina di primavera del 2002, all'età di novantaquattro anni.
Pochi mesi dopo Hampton sarebbe morto, ma da molti è ricordato, oltre che per la sua straordinaria musica, per le centinaia di case costruite per le famiglie povere a New York.
Parrocchiano della chiesa di Saint Mark, a novantaquattro anni, malato, non aveva voluto mancare alla festa dei ragazzini della scuola; il cardinale Egan racconterà poi l'episodio al convegno sull'educazione svoltosi tempo dopo all'Unesco a Parigi.
Ma, si è chiesto davanti all'auditorio, e quella madre Katharine, che pagò le prime lezioni di pianoforte a un bambino nero, chi era?
Era Katharine Drexel, nata nel 1858, una ricca ereditiera fattasi suora che fondò scuole cattoliche in tutti gli Stati Uniti per educare i figli dei più poveri, proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 2000.
Alla morte del padre ereditò una immensa fortuna, ma nel 1891 decise di prendere il velo e fondare una congregazione religiosa che si prendesse cura dei negri e degli indiani, le due razze più emarginate emiserabili degli Stati Uniti. Nacquero così le Suore del SS. Sacramento.
Fondò, tra mille ostacoli e minaccie, l’Università di Xavier a New Orleans, in Louisiana, perché nessuna università del Sud accettava studenti negri. Seguirono un centro missionario e più di sessanta scuole per negri e indiani.
Le suore di madre Katherine si diffusero per tutta l’America, soprattutto nel West e nel Sud.
Lei diede praticamente fondo a tutto il suo patrimonio e restituì al Cielo, moltiplicato, quel che per nascita aveva ricevuto.
«Madre Katharine mi pagò le lezioni di pianoforte», racconta a novant'anni il grande artista, e sembra una fiaba.
La santa e il genio, lei che lo incontra e lo riconosce quando è solo un bambino orfano di padre, su cui nessuno scommetterebbe una lira.
Ma non è una fiaba, come spiega con serena certezza il cardinale di New York.
Semplicemente la suora che comprese che quel bambino "doveva" prendere lezioni di pianoforte era una vera educatrice.
Una che non aveva solo in mente come dare a quel ragazzo le "competenze" necessarie a dargli un mestiere, ma, avendo intravisto in lui il bagliore di un singolare talento - come la luce ancora offuscata di un diamante grezzo - sapeva di doverlo coltivare.
Chissà, forse qualche saggio avrà detto che quella suora era matta, e che quel bambino aveva più urgente bisogno di imparare un mestiere sicuro.
Ma lei era certa del talento di Lionel. Forse perché aveva osservato come quel ragazzino guardava le dita di un pianista, durante una festa a scuola.
Forse perché aveva visto come istintivamente quelle mani di bambino si muovevano sulla tastiera, come se Dio le avesse messe al mondo apposta.
Educare è anche riconoscere nel seme, la pianta; nel segno, la vocazione.
La santa che riconobbe in un bambino il genio, e gli pagò le lezioni di musica, è anche la storia della generosità e del talento educativo di chi lascia tutto e mette il suo immenso patrimonio a servizio dei più poveri.


martedì 20 gennaio 2015

Verginita'

Ieri mia madre mi ha detto: “Ho avuto un solo uomo, tuo padre”.
All’improvviso si sono sgretolati anni e anni di liberazione sessuale, di convincimenti libertari, di mentalità radicale. Tutto quel che avevo creduto una conquista civile si è ridimensionato di fronte a quella semplice affermazione:
“Ho avuto un solo uomo, tuo padre”.
Sono stato messo di fronte alla debolezza di ciò che credevo essere la modernità, con la forza di chi afferma un principio antico, senza la consapevolezza di essere, lei sì, la vera rivoluzionaria.
Mi sono domandato: sono più avanti io che ho vissuto e teorizzato il rifiuto del matrimonio, l’amore libero e i rapporti aperti o lei che per una vita intera è rimasta fedele ad un solo uomo?
Senza essere Gesù Cristo mi sono sentito il figlio di Dio e mia madre mi è apparsa come la Madonna: in modo naturale, come se fosse la più ovvia delle cose, lei ha impostato tutta la sua vita su concetti che oggi ci appaiono sorpassati, ridicoli: la felicità, l’onestà, il rispetto, l’amore.
Mentre penso che non c’è mai stata in lei ombra di rivendicazioni nei confronti del potere maschile mi rendo conto che non esiste nessuno più autonomo di lei.
Nessun senso di inferiorità l’ha mai sfiorata, perché le fondamenta della sua indipendenza erano state scavate nei terreni profondi della dirittura morale, della lealtà, della giustizia, dell’onore e non sulla superficie di ciò che si è abituati a considerare politicamente corretto.
Il rispetto e la timidezza con cui guardava mio padre e l’educazione che mi ha dato a rispettarlo non avevano niente a che vedere con le rivendicazioni dei piatti da lavare.
Mia madre non si è mai sentita inferiore perché ci serviva in tavola un piatto cucinato per il piacere di accontentarci e di farci piacere; o perché lavava e stirava per farci uscire “sempre in ordine”. Sono consapevole che sto esaltando il silenzio e quella che le femministe hanno drasticamente definito sottomissione.
Ma non posso fare a meno di interrogarmi sui veri e falsi traguardi dell’emancipazione, su ciò che appartiene ai convincimenti profondi e su ciò che non è altro che sterile battibecco.
Nella ricerca dei valori che dovrebbero educarci a un’etica meno degradata di quella improntata al principio del così fan tutti, mia madre è un esempio di anticonformismo e di liberazione: lei è davvero affrancata dagli stereotipi e dai bisogni indotti della società massificata.
Per conquistare obiettivi importanti e sicuramente oggi irrinunciabili siamo stati costretti ad abdicare alla nostra integrità.
Noi abbiamo perso la “verginità”, non lei.

Oliviero Toscani

Che sfiga ragazzi, mi toccherà rivalutare anche Toscani adesso...