giovedì 6 dicembre 2012

ri(morsi)

Mia nonna, nata nel 1898, mi raccontava che suo fratello quattordicenne aveva passato tutta la giovinezza in carcere per aver “giustiziato” il guappo del paese, reo di aver schiaffeggiato pubblicamente suo padre. Concludeva il racconto aggiungendo anche che i gendarmi, pur non potendo esimersi dall’arrestare il ragazzo, ci tennero a fargli sapere che aveva liberato un paese intero dal giogo del prepotente di turno. Nonostante il mio paese avesse sempre “vantato” tradizioni di un certo rilievo in materia di uomini dal grilletto facile, quello che era accaduto negli ultimi tempi non aveva precedenti.
Nel giro di pochi mesi erano stati ammazzati cinque ragazzi poco più che ventenni; alcuni di loro erano stati miei compagni di scuola. Vittime della lotta tra i clan scatenatasi per l’accaparramento dei fondi stanziati dallo Stato per fronteggiare l’emergenza del dopo-terremoto, erano caduti in agguati tesi per strada alla luce del giorno. Il miraggio di ingenti guadagni “facili”, per quanto possa considerarsi facile guadagnare soldi controllando il mercato della droga o regolare conti a suon di piombo, li aveva irretiti.
In un paese di circa diecimila abitanti è chiaro che sapevamo tutti in quali “giri” erano finiti i ragazzi; vederli giacere per terra senza vita era però tutt’altro discorso. Quanto valeva all’epoca una vita umana? Pressappoco cinquecentomila vecchie lire, e sembrava quasi che tutta la cittadinanza assistesse indifferente alla strage. Peraltro, tutti sapevamo che all’appuntamento con la morte mancava una sesta persona, finora scampata alla mattanza, e tuttavia nessuno apriva bocca.
Mi posi anch’io il problema di cosa fare.
Non ero mai andato d’accordo con lui, avevamo spesso fatto a botte da ragazzi e, nonostante fosse più grande di me di un paio d’anni, non gliel’avevo mai data vinta. Più di una volta, infatti, aveva fatto irruzione nei nostri giochi da ragazzi con atti di prepotenza che mettevano fine al nostro divertimento. Mentre tutti i miei coetanei subivano passivamente i soprusi, io non riuscivo a controllarmi e sovente reagivo. In questi casi utilizzavo la tecnica del “colpisci e scappa” e siccome ero molto veloce, anche perché la paura mi metteva le ali ai piedi, non mi ha mai preso. Adesso, però, dovevo mettere da parte i vecchi rancori e farmi avanti; dovevo avvertirlo che aveva i giorni contati, che stavano per ammazzarlo. Ma possibile che non ne fosse anche lui consapevole? E allora perché continuava a frequentare gli stessi ritrovi abituali come se niente avesse da temere? E poi perché dovevo essere proprio io a dirglielo? In nome di quale vecchia amicizia? Possibile che non l’avesse avvertito già qualcun altro?
In paese si diceva che lui stesso aveva ammazzato a sua volta diversi “colleghi” di lavoro antagonisti e la domanda che non potevo fare a meno di pormi era: meritava poi veramente di vivere uno così? Ma quale uomo può dire in coscienza di meritare di vivere? Mentre mi ponevo tali interrogativi il destino regolò i suoi conti in maniera inesorabile e senza attendere le mie risposte.
Avrei potuto evitarlo? Forse no, ma avrei potuto e dovuto almeno provarci!
Per far tacere la mia coscienza nei mesi che seguirono decisi di scrivere un volantino che avrei distribuito alla cittadinanza allo scopo di scuotere i cuori di tutti dall’indifferenza che li rendeva gelidi.
La responsabilità di quello che era accaduto è di tutti noi, scrissi, poiché se la cultura di morte ha trovato spazio nelle nostre case è perché non siamo stati capaci di seminare e far crescere quella cultura della vita che avevamo il dovere di trasmettere. Solo investendo risorse ed idee sull’educazione dei ragazzi si sarebbe potuta arginare quella spirale di violenza che aveva sconvolto la quiete cittadina.
Mi sembrava ancora troppo poco ma era tutto quello che ero riuscito a fare.
Anche oggi, guardando gli omicidi che, purtroppo con frequenza quasi quotidiana, insanguinano le strade di Napoli, sono convinto che né l’esercito, né particolari strumenti di repressione del fenomeno, per quanto straordinari, possano risolvere il problema.
La battaglia o si riesce a vincere sul piano educativo o non si vincerà mai.


18 commenti:

  1. Certo Luigi, sono d'accordo con te. Non ci sono chances di evitare i morti ammazzati dalla avidità dei clan, se non si instilla il rispetto della vita umana, sin dai primi anni di vita di un bambino. Purtroppo però non è così facile, tanto più che in genere i delinquenti sono figli di delinquenti che tutto insegnano ai figli tranne che delle serie regole morali di vita da condividere con gli altri.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. purtroppo non è affatto facile Ambra, considerato anche lo stato in cui versano le istituzioni scolastiche e educative soprattutto nel sud Italia!!!

      Elimina
  2. Ciao Luigi condivido il commento di Ambra
    ti auguro una buona setata
    Tiziano.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. grazie Tiziano!!!
      Buon fine settimana...speriamo non troppo innevato!!!

      Elimina
  3. Risposte
    1. brava tu che riesci sempre ad entrare in sintonia!!!
      Un abbraccio

      Elimina
  4. Ua realtà in cui la prospettiva dello studio porta a fare il professore scalcagnato o l'impiegato e in cui il guadagno facile e il successo sono garantiti da altri "meriti" non giova per niente, educativamente parlando. Sono troppo pessimista?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. non sei pessimista per niente Tiziana; anzi, la realtà spesso è più desolante di quanto la descrivono!!!

      Elimina
  5. Luigi, ognuno di noi ha i suoi rimorsi, è normale. Però sono sicura che questa vicenda ti abbia insegnato qualcosa, rendendoti una persona ancora migliore. Purtroppo a volte si impara di più dagli eventi drammatici che da quelli felici.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. hai ragione Vele: sulle nostre macerie impariamo a crescere!!!

      Elimina
  6. Ciao Luigi, vedo che fin da giovane eri molto impegnato, ma non fartene un cruccio perché, anche se tu l'avessi avvertito, l'avrebbero ammazzato in ogni caso. Stessa cosa vale in questo periodo per Marsiglia. Non so se ci siano echi anche in Italia, ma da qualche tempo i morti si contano a dozzine per gli stessi motivi da te affrontati. Come fare? Hai ragione tu e bisogna affrontare il problema a monte con l'insegnamento e l'esempio. Ma oggi, quando manca il lavoro, è scontato che un giovane si diriga verso il denaro facile.
    Buon WE.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. una nota positiva è che da quei giorni in poi non ci sono stati più morti ammazzati nel mio paese!!!
      Buon fine settimana anche a te Elio

      Elimina
  7. Ciao Luigi, io so che se il destino non fosse arrivato prima di te tu l'avresti avvertito!
    Un abbraccio e serena festa dell'Immacolata!

    RispondiElimina
  8. Ma sei molto coraggioso... di aver scritto e distribuito un volantino...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. era davvero il minimo che potessi fare Titti!!!
      A presto

      Elimina
  9. esercito e polizia sono indispensabili nella lotta alle mafie, ma senza educazione il loro lavoro è completamente inutile. solo che questo è un processo lungo, costoso e non dà frutti veloci da vendere nella prima campagna elettorale possibile!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. è una battaglia che forse non si vincerà mai Fede!!!
      Un saluto

      Elimina