martedì 10 giugno 2025

Un altro modo di vincere, e di perdere.

Ma c’era sul volto di quel ragazzo altoatesino, nella sua espressione, qualcosa di bello. Non rabbia, non i pugni chiusi di chi ha mancato per un attimo il traguardo.

Nella delusione una pacatezza, quasi una serenità. Avere perso dopo una lotta estrema, e non manifestare rabbia.

Come se nessuna sconfitta potesse annullare una radicata fiducia in sé; come se l’esito di una partita, o di un esame, insomma un giudizio esteriore su di te, per quanto grande sia la amarezza, non potesse farti perdere l’equilibrio interiore.

È il segno del non dipendere, del non fare dipendere la propria vita dall’esito, dal successo di ciò che si fa.
Mettercela tutta, ma se poi perdi non crolli. Hai dentro una certezza più grande che ti sostiene. Giocherai di nuovo, di nuovo vincerai.
È quello che del resto Carlos Alcaraz, da campione vero, ha detto subito a Sinner, deposti i fioretti: «Sono sicuro che sarai campione, non una volta, ma tante volte. È un privilegio giocare con te».

E nel mondo di sciocchezze e insulti dei social da cui siamo invasi, queste parole meravigliano, davvero. Quei due ci hanno meravigliato davvero. Un altro modo di vincere, e di perdere. 
Chissà se si sono accorti, i milioni di ragazzi che stavano a guardare, di questo altro modo di affrontare l’altro.
E di incassare il “no” di una sconfitta: ciò che – sia il rifiuto di una donna, sia un obiettivo non raggiunto – fa perdere la testa a molti giovani di oggi. Come fossero, dentro, così fragili.
Verrebbe voglia di andare dalla madre e dal padre di Sinner a domandare: come avete fatto.
Non a farne un campione, ma un uomo che incassa una sconfitta così e non strepita.
E resta saldo, sereno, in piedi.
                             Marina Corradi - Avvenire