lunedì 18 dicembre 2017

il mistero del Dio Bambino

Perchè Dio si fa bambino?
Grande domanda questa.
Possiamo provare a rispondere chiedendoci anzitutto: cosa fa Dio diventando bambino?
Si mette nelle mani degli uomini.
Si affida completamente inerme alle sue creature, vulnerabile (appena nato vogliono già ucciderlo) e indifeso, esposto a qualsiasi oltraggio, offesa o indifferenza.
Così facendo ci dice chiaramente che, nonostante tutto, Egli si fida dell'uomo, a tal punto che abbandona persino la propria vita nelle sue mani.
Ha fiducia nella famiglia umana, nella quale sceglie di nascere e crescere.
E pare volerci dire: se io che sono Dio mi fido a tal punto dell'uomo e della famiglia umana, anche voi dovete fidarvi gli uni degli altri, e soprattutto della famiglia, luogo privilegiato di educazione all'amore, che dovete difendere e proteggere sempre.
Ma Dio vuole anche dirci: "avvicinatevi a me senza paura".
Non si può aver paura di un bambino.
Anzi, un bambino ispira tenerezza, desiderio di affetto, protezione.
Chissà perchè Dio ce l'immaginiamo sempre come un vecchio austero e distante, mentre invece l'immagine che forse gli corrisponde di più è proprio quella di un bambino.
Il mio augurio, allora è che la nascita del Dio bambino possa farci tornare tutti un po' più bambini e recuperare quello sguardo di stupore sul mondo che forse abbiamo perduto.

giovedì 7 dicembre 2017

Van Gogh vive

"Una volta ho visto un bel quadro; era un paesaggio serale.
In lontananza, sulla destra, una fila di colline, azzurre nel cielo della sera.
In queste colline lo splendore del tramonto, le nubi grigie costellate d'argento e d'oro e porpora.
Il paesaggio è una pianura o una brughiera, coperta d'erba e di steli gialli, era infatti autunno.
Il paesaggio è tagliato da una strada che porta a un alto monte, lontano, molto lontano; sulla sua cima una città che il sole al tramonto fa risplendere.
Sulla strada cammina un pellegrino col suo bastone. E questi incontra una donna - o una figura in nero - che richiama un'espressione di San Paolo: afflitto ma sempre lieto.
Quest'angelo di Dio è stato posto qui per consolare il pellegrino e per rispondere alle sue parole.
E il pellegrino le chiede: "Questa strada è sempre in salita?". E la risposta è: "Certo, fino alla fine, sii attento".
E di nuovo egli chiede: "E il mio viaggio dovrà durare tutta la giornata?".
E la risposta è: "dal mattino, amico mio, fino a notte".
E il pellegrino allora prosegue, afflitto ma sempre lieto ».

Vincent van Gogh

Sono stato qualche giorno fa alla mostra multimediale "Van Gogh alive" e sono rimasto folgorato!!!
Il video che segue da qualche idea sulla straordinaria ambientazione che caratterizza la mostra.




sabato 2 dicembre 2017

la verità vi renderà liberi

La mia maestra era una donna d'altri tempi, devota e severissima.
Un giorno ci diede da scrivere un compito dal tema libero: ciascuno poteva scegliere quello che più gli interessava.
Eravamo ancora bambini di una scuola elementare d'altri tempi, con una maestra che già a quei tempi era lei stessa d'altri tempi; figuratevi la sorpresa quando lesse il titolo del mio tema: la libertà!!!
Non ricordo di aver scritto niente di speciale ma semplicemente la scelta del titolo fu considerata un evento inaudito.
All'epoca ero convinto che libertà significasse poter fare tutto quello che volevo; col tempo ho capito però che fare tutto quello che mi piaceva non mi liberava per niente: la libertà deve avere un necessario legame con la verità.
"Conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi" dice Gesù nel vangelo.
Sono libero non quando faccio quello che voglio ma quando scelgo quello che è giusto.
Solo la verità libera l'uomo.
La verità su noi stessi e sul mondo.
Ma qual'è questa verità che ci libera?
Non è una teoria; non è un'opinione; non è una ideologia; non è un concetto.
E' una persona.
"Io sono la via, la verità e la vita"; Gv. 14,6.
La verità si è incarnata.
Ha lavorato con mani d'uomo.
Ha parlato con voce umana.
Ha amato con cuore di carne.
Ha sofferto sino all'ultima goccia del suo sangue.
Per dirci cosa?
"Ecce homo"; questo è l'uomo.
Solo nella misura in cui ci identifichiamo con Lui saremo veramente liberi.
Il cristianesimo non è una religione; è un manuale d'istruzioni d'uso della vita.

mercoledì 8 novembre 2017

requiem

Non ho paura della morte.
Ho paura di una vita senza senso.
Ho sempre avvertito il bisogno inesauribile di essere utile.
Penso che l’inferno sarà popolato da persone che non avranno niente da fare per tutta l’eternità.
Durante il servizio militare fui assegnato al corpo “Genio guastatori”, uno di quelli più operativi dell’esercito italiano.
Gli ufficiali ci massacravano con marce interminabili e addestramenti specializzati nel trattare dinamite ed esplosivi: non avevamo davvero il tempo di annoiarci.
Ad un certo punto fui trasferito al Tribunale militare, ma prima di arrivarci passai un mese all’interno di una caserma specializzata in “logistica e trasmissioni”, dove eravamo abbandonati a noi stessi ed era un’impresa arrivare a sera con la sensazione di aver fatto qualcosa di sensato.
In quel posto mi resi conto di quanto potessero essere devastanti l’ozio e la noia: sembravamo dei morti viventi che si aggiravano nel cortile di un carcere disorientati e persi.
Quando arrivai al Tribunale militare scoprii poi che quasi tutte le notizie di suicidi di giovani in ferma temporanea che arrivavano ai giudici riguardavano militari che si trovavano in caserme dove non avevano nessun incarico da svolgere.
Mi è capitato spesso di visitare le tombe dei miei cari ed ogni volta che varco la soglia del cimitero rimango rapito dal misterioso fascino che promana da questo luogo.
Qualche volta mi soffermo a leggere le date che contrassegnano la vita, talvolta molto breve, di quei volti, spesso sconosciuti, che mi scrutano quasi a voler mettermi in guardia da un esistenza inutile.
Qualche volta mi sono attardato a visitare le zone più antiche di quel sacro luogo, dove la polvere del tempo appena lascia intravedere il viso di quelle persone ormai vissute oltre un secolo fa e di cui forse nessuno più serba il ricordo.
E’ impressionante contemplare quei volti cercando ogni volta di intuire dai loro lineamenti la storia di una vita, probabilmente intessuta di amore e di dolore; una storia di anime che non potrà essere più raccontata da nessuno se non nell’eternità.
Comprendo, allora, che l’unica ragione per la quale siamo stati creati è imparare ad amare, poiché della nostra vita solo l’amore resterà.

venerdì 6 ottobre 2017

Fame

Ho un rapporto un pò particolare con i mendicanti.

Li ammiro moltissimo per la loro capacità di capire subito se la persona che gli passa davanti è generosa o meno.
Ci avete mai fatto caso?
Tra una decina di persone che passano per strada riescono ad individuare subito quella che può dare loro qualcosa.
Basta un solo sguardo. 
Dopo qualche anno di onorata professione acquisiscono quella straordinaria sensibilità per leggere nel cuore delle persone che attraversano il loro cammino, comprendendo subito se gli occhi che incrociano appartengono ad un cuore aperto o chiuso, riuscendo così a fare breccia nelle anime più generose.
E' la fame, credo, il motivo di questa speciale abilità.
Mi veniva da riflettere, allora, se io ho la stessa fame sul piano spirituale.
Se riesco a riconoscere, guardandole negli occhi, quelle anime che hanno particolarmente bisogno di aiuto, di conforto, nonostante spesso il loro atteggiamento esterno tradisca una autosufficienza che in realtà non hanno.
Vi farò pescatori di uomini, ha detto un giorno Qualcuno.
Ma per diventare veri pescatori bisogna sperimentare la fame.
E' per questo che la società contemporanea è spiritualmente così povera: ha smesso di avere fame e non si accorge più del prossimo che passa chiedendo aiuto, spesso solo con uno sguardo. 

sabato 23 settembre 2017

Dulce Pontes

Un'altra scoperta sorprendente fatta in terra portoghese è la voce meravigliosa di questa ragazza lusitana, e della sua capacità straordinaria di rinnovare la musica tradizionale del paese attraverso una fusione unica che mescola la melodia classica del fado con la world music internazionale, riuscendo a ricamare con la sua voce magica melodie profonde e davvero originali.   
Del resto anche Ennio Morricone si è letteralmente innamorato di questa ragazza, tanto che nell’aprile 2003 Dulce Pontes si reca a Roma per dare voce ad alcune tra le melodie più famose del maestro romano e a cinque nuove composizioni scritte appositamente per lei.
Ne è nato addirittura un disco "Focus", che porta la duplice firma di Ennio Morricone e Dulce Pontes, uscito in Italia con l’etichetta Universal.
Per citare le parole di Morricone su questo progetto: “Credo che questo disco sia una delle cose più importanti che io abbia mai realizzato con una cantante. Sapevo già che il risultato finale sarebbe stato un successo, ma non immaginavo che l’intera esperienza sarebbe stata così straordinaria…. Le qualità vocali che Dulce esprime in questo disco sono così versatili, così complete ed incredibilmente varie, tanto da toccare ogni aspetto del canto, ogni tipo di canto”.
Il successo, tuttavia, non ha incrinato per niente la magia della sua voce, che ha mantenuto quella freschezza ed originalità degli esordi:
"i concerti sono i momenti più felici e intensi della mia vita", racconta; "mi danno la sensazione di ricevere un dono, di avere una ragione di vita".
Ma la chiave del successo di Dulce Pontes è contenuta in una sua dichiarazione: "Sono più interessata alla passione che alla tecnica".
Solo questa attitudine "istintiva" alla musica può spiegare, ad esempio, perché un'audience di giapponesi, che non capiscono una parola della sua lingua e non hanno alcuna nozione del fado, possa restare irretita dalle sue canzoni e continuare a cantarle insieme a lei.
"Alla fine, nessuno è un isola impenetrabile".
E la voce di Dulce Pontes suona come una sorta di oceano per tutte le isole del mondo.

lunedì 4 settembre 2017

La fine dell'uomo occidentale

L’uomo occidentale è finito per carenza di stelle. L’uomo è fatto di desiderio, ha bisogno di alzare lo sguardo a cercare le stelle, de-sidera, ed è questa ricerca che lo tiene dritto in piedi, in vita.
È questo lo spazio nel quale si infila la ricerca di infinito.
Ma, prima ancora, è questo che lo muove nel desiderio di migliorarsi.
Per millenni le narrazioni – da Omero in poi – sono stati racconti di come l’uomo,  l’eroe, cercasse di superare se stesso, di trascendersi, di cercare fuori di sé qualcosa che lo eternasse.
A un certo punto l’uomo ha deciso che non aveva più bisogno di nessun cielo sopra la sua testa, ha smesso di costruire cattedrali, ha cominciato a pregare – i pochi che lo facevano ancora – in posti più simili a garage che a chiese, senza liturgia, senza guglie che portassero lo sguardo verso l’alto.
Ed è nato l’uomo funzionale all’attuale modello di vita, di produzione di beni, di organizzazione della vita pubblica: è un uomo che vive immerso in una palude di soggettivismo assoluto – proprio così, viviamo in un ossimoro – in cui ogni desiderio non solo può, ma ha il diritto di essere soddisfatto, e ogni limite, anche quello biologico, è avvertito con fastidio come fosse una costruzione fittizia, e non lo spazio che ci è dato di abitare.
È un uomo talmente liberato che non sa più che fare della sua libertà: la liberazione sessuale, per esempio, ha abbattuto il desiderio.
È  un uomo solo, senza vincoli, senza legami, senza storia, con pochissimi o zero figli (i figli sono controindicati, ti costringono a risparmiare sui beni superflui, e se proprio devono nascere decidi tu quando e come).
È un uomo che non ha lo sguardo verso il cielo, verso le stelle, ma su se stesso, sul suo inconscio, sulle paturnie o nevrosi, chiamiamolo come vogliamo (io e san Paolo preferiamo dire “l’uomo vecchio”).
Un uomo che pensa di non avere bisogno di essere guarito, salvato, redento. Un uomo che pensava che senza obbedire a nessuno sarebbe stato meglio. E non basta la depressione generale a insinuargli dubbi in merito.
Prima l’arte era bella perché parlava della ricerca di Dio, adesso ritrae l’uomo che cerca se stesso, per questo è tendenzialmente brutta. 
Prima la letteratura mostrava il corpo a corpo dell’uomo col suo destino eterno, adesso si portano molto i racconti di piccole felicità trovate nelle piccole cose (si vincono anche i premi Strega così), adesso è l’epoca in cui un candidato al Nobel per la letteratura lancia l’idea di scrivere i dieci motivi per cui vale la pena vivere,  e mette in testa la mozzarella.
È evidente, quando si vive per sé bisogna trovare in sé le ragioni. Ma non è che reggano tanto.
Il punto è che noi siamo nani coi trampoli, siamo creature di fango che il soffio di Dio ha reso poco meno degli angeli. Noi da soli non siamo capaci di infinito, perché veniamo dal cuore di Dio e lì vogliamo tornare.
Non che prima di questa idea di uomo la gente fosse tutta mistica, protesa all’infinito.
Ma c’era un cielo sopra le teste, questo è sicuro, e la vita aveva una sua pedagogia.
Era il tempo in cui il problema era come fare a vivere, non trovare una ragione per farlo.
Quando si teme per la propria sopravvivenza è più facile prendere atto del fatto che non dipende da noi.
Quanto al tema di soddisfare tutti i desideri, il problema non si poneva proprio (e il fatto di non soddisfarli li teneva vivi). Anche quando non è stata in questione la sua sussistenza, l’uomo viveva contenuto in una sorta di esoscheletro che lo teneva dritto, norme e convenzioni definivano il recinto dei suoi limiti.
Aperto e scoperchiato tutto, l’unico antidoto alla morte per estinzione dell’uomo occidentale è innanzitutto riconoscere e dichiarare il proprio bisogno, dichiarare la propria vulnerabilità.
E può essere quella la ferita aperta, divenuta feritoia, che fa passare Dio, l’unico che può soddisfare il nostro infinito desiderio, quello per cui è fatto il nostro cuore.
L’uomo secondo Cristo è un uomo meraviglioso, che fa figli e migliora il mondo e lo feconda e lo costruisce per loro, che salva il seme delle cose belle per i figli suoi e degli altri, che protegge i deboli, che cura i malati, visita i carcerati.
L’uomo secondo Cristo fa le cose bene, non è un cialtrone: il buon samaritano, che Gesù stesso prende a esempio di amore per il prossimo, è uno che cura i suoi affari, e grazie a questo ha i soldi per pagare un albergatore che si prenda cura del ferito.
È un uomo che costruisce per domani perché sa che qui non è che l’inizio della sua vita, che è eterna.
È un uomo che si sa amato teneramente dal Dio che ha inventato gli atomi e i ghiacciai, e il figlio del Re è padrone di tutto e libero, non ha nemici perché ha già vinto, e sa che l’unica battaglia che gli rimane è quella contro l’uomo vecchio, quella che gli impedisce di dire sì a Dio, e riconoscersi veramente figlio. E felice.

Costanza Miriano (https://costanzamiriano.com/2017/08/17/la-fine-delluomo-occidentale-2/)

giovedì 31 agosto 2017

LISBOA

Non so dire di preciso cosa mi abbia spinto a Lisbona.
Senz'altro da un pò di tempo seguivo delle tracce.
La principale era la musica dei Madredeus; le loro melodie mi hanno accompagnato molto in questi anni e mi hanno svelato luoghi e parole della città, schiudendomi orizzonti sorprendenti.
Dopo c'è stato il cinema: Lisbon story su tutti; vero percorso interiore realizzato nei meandri più autentici dell'anima lusitana, come solo un grande regista come Wenders sa fare.
Il clima, poi, era l'ideale per la mia insofferenza al caldo umido: sempre ventilato e fresco anche ad agosto.
E la luce: non ho mai visto una città così luminosa come Lisbona, quasi abbagliante.
Gli abitanti sempre gentili ed eleganti, espressione di una sintesi culturale mirabile, come poche al mondo.
Le cattedrali, autentici ricami di pietra sorprendenti; esempi luminosi di gotico fiammeggiante.
I famosi Azulejos, capaci di esprimere in profonde tonalità d'azzurro l'anima di un popolo.
Il motivo più importante, però, era ringraziare una persona che 25 anni fa mi ha rapito il cuore, a Fatima.
L'ho vista e ho pianto, scoprendomi ancora un figlio prediletto che ritorna a casa.


domenica 30 luglio 2017

Lontani da casa

La scienza non ha restituito all'uomo il suo focolare perduto.
Certo, almeno in Occidente, siamo molto attrezzati. Eppure vaghiamo, circondati da oggetti che si lasciano maneggiare, ma che non hanno nulla da dirci.
La nostra familiarità col mondo non è che una sottile pellicola tesa sulle cose: se si spezza ci precipita in una solitudine radicale.
Nel mondo che abbiamo costruito, siamo lontani dal sentirci a casa.
La vita è ridotta ad una sterile carrellata di emozioni, senza altro senso che l'angoscia di una sosta.
Le domande di fondo sono scomparse all'orizzonte.
Come siamo giunti a questa mostruosa insignificanza?
Come abbiamo potuto fuorviarci sino a questo punto?
Sembra qualcosa di così incomprensibile che l'unica soluzione, per vederci chiaro, è di rifare il cammino.
Provare a comprendere quel che è successo, seguendo l'itinerario dello smarrimento.
Perduti come siamo, sarebbe vano pretendere di indicare una via d'uscita.
Ma quando si spera di attraversare una foresta sarebbe meglio evitare di girare in tondo, e perciò è bene sapere da dove si viene, cercando di ritrovare i momenti in cui le cose si sono annodate.
E' solo a questo prezzo che hanno la possibilità di essere sciolte.

Oliver Rey, Itinerari dello smarrimento; edizioni Ares

venerdì 14 luglio 2017

quale viaggio ci interessa veramente?

Mi sarebbe piaciuto diventare un travel blogger.
Avrei voluto girare il mondo e cogliere l'anima di ogni luogo; trasfonderla su un foglio bianco e diffonderla nell'etere. 
E invece sono diventato un blogger che viaggia dentro, preferendo esplorare il mondo che anima l'universo sconfinato dell'essere umano.
Qual'è il viaggio più importante?
Se non conosciamo l'universo che si agita dentro di noi come potremo decifrare quello che ci circonda?
In un mondo in cui tutti i desideri devono essere esauditi, le mete raggiunte e i sogni realizzati subito o al più presto, può capitare invece di scoprire proprio tra le strade della propria città qualcosa che ci conquista, in un paesaggio noto che all'improvviso si accende per una voce, un odore, una luce.
Il vero mezzo di trasporto è l'introspezione, senza la quale non c'è distanza capace di trasformarsi in qualcosa che resti dentro di noi:
i viaggi funzionano solo se la scintilla è già scoccata, qualcosa da cercare, qualcuno da incontrare, un'idea, un sogno da inseguire, non importa se si finirà poi per trovare tutt'altro.
Perchè l'unico viaggio che conta veramente è quello dentro di noi.

martedì 20 giugno 2017

SUBLIME

Interpretazione straordinaria, da pelle d'oca e brividi di commozione.....

sabato 17 giugno 2017

la sua figura

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 2004 è andata in cielo Giuseppa Romeo, cantautrice meglio conosciuta al pubblico con il nome di Giuni Russo.
Nona di dieci figli, era nata a Palermo nel 1951 da papà Pietro, pescatore, e mamma Rosa, che aveva una bellissima voce da soprano e, allattandola, le cantava struggenti canzoni napoletane.
Dalla madre, perciò, Giuni ereditò una voce potente e originalissima, che la portò ben presto al successo nazionale con canzoni immediate ed orecchiabili.
Eppure per Giuni la musica fu sempre caratterizzata da una costante ricerca, inquietudine e sperimentazione, mentre il suo percorso artistico era accompagnato da una maturazione spirituale che lasciò interdetti i suoi produttori musicali, che volevano invece ingabbiarla in uno stile ben preciso.
Lasciata Palermo, Giuni scoprì quasi per caso la spiritualità carmelitana, cominciando a frequentare le attività di formazione promosse dalle suore del cenacolo di Milano. 
Molte delle sue canzoni cominciarono ad ispirarsi ai testi sacri, in particolare a quelli di santa Teresa d'Avila e san Giovanni della Croce.
Questa ricerca però non fu compresa dalle case discografiche, che ben presto l'abbandonarono all'autoproduzione.
Nel 1999 le fu diagnosticato un tumore e Giuni affrontò anche questa prova con buon umore e serenità, tanto che nel 2003, nonostante un pesante ciclo di chemioterapie, partecipò a Sanremo con la canzone "Morirò d'amore", vero testamento spirituale della cantautrice, che al riguardo affermò: "pensate che io la canti per un uomo, per una mamma, per un figlio? Io invece la canto per l'Amore alto che è questa parola: morirò d'amore, morirò per te, in te".
Alla sua morte le carmelitane scalze di Milano vollero che il suo corpo fosse sepolto nel cimitero interno al convento, perchè, come disse la Superiora durante il funerale, Giuni era vissuta e morta da vera carmelitana, poichè il suo canto (carmen) aveva rallegrato il mondo.
Una delle canzoni più belle di quest'ultimo periodo fu "La sua figura", ispirata a un cantico spirituale di san Giovanni della Croce: "sai che la sofferenza d'amore non si cura, se non con la presenza della sua figura; come un bambino stanco ora voglio riposare / E lascio la mia vita a te".


sabato 3 giugno 2017

luce dei nostri occhi


Il Pensiero creò la Parola e il Pensiero e la Parola si amano.
L’Amore è lo Spirito.
E’ l’Amore che ha creato l’Universo, che ha istruito i primi servi di Dio, che ha spinto il Padre a dare i Precetti, che ha illuminato i Profeti, che ha concepito con Maria il Redentore, che ha messo Me sulla Croce, che ha sostenuto i Martiri, che ha retto la Chiesa, che opera i prodigi della Grazia.

“Io sono la Carità di Dio.
Canale d’amore fra il Padre e il Figlio, canale di carità fra Dio e gli uomini. Libero e fecondo, Io vado e circolo, distribuisco e raccolgo, espando e concentro.
Per Me l’Eterno è in voi. Per Me voi siete nell’Eterno. Sono la Forza prima. Sarò la Forza ultima. Sono la Forza eterna.
Tutto finirà non Io. Il mio vivere, il mio regnare è eterno, perché Io sono la Perfezione delle Perfezioni di Dio e la perfezione delle perfezioni dell’uomo.
Io sono l’Amore.
Non ho voce mia propria perché la mia Voce è in tutto il creato e oltre il creato. Come etere Io dilago, per tutto quanto è, come fuoco accendo, come sangue circolo.
Io sono in ogni parola del Cristo e fiorisco sulle labbra della Vergine.
Io purifico e faccio luminosa la bocca dei profeti e dei santi.
Io sono Colui che le cose ispirò prima che fossero, perché è il mio potere quello che come palpito dette moto al pensiero creativo dell’Eterno.
Per il Cristo tutte le cose sono state fatte, ma tutte le cose sono state fatte da Me-Amore, perché sono Io che con la mia segreta forza, mossi il Creatore a operare il prodigio.
Io ero quando nulla era ed Io sarò quando rimarrà unicamente il Cielo.
Io sono l’ispiratore della creazione dell’uomo al quale fu donato il mondo per sua delizia, il mondo in cui, dagli oceani alle stelle, dalle vette alpine agli steli, è il mio sigillo.
Io sono Quello che a placare il Padre infusi l’idea dell’Incarnazione e scesi, fuoco creatore, a farmi seme nelle viscere immacolate di Maria e risalii fatto Carne sulla Croce e dalla Croce al Cielo per stringere in anello d’amore la nuova alleanza fra Dio e l’uomo, come in amplesso d’amore avevo stretto il Padre e il Figlio generando la Trinità.
Io sono Colui che senza parole parla, ovunque e in ogni dottrina che abbia in Dio origine, Colui che senza tocco apre occhi e orecchi ad udire il soprannaturale, Colui che senza comando vi trae dalla morte della vita, alla Vita nella Vita che non conosce limite.
Cercatemi ovunque è amore, fede e sapienza. Datemi il vostro amore. La fusione dell’amore con l’Amore crea il Cristo in voi e vi riporta in seno al Padre.
La nostra Trinità, la nostra triplice e una natura, si fissa in un unico splendore, in quel punto in cui si genera, tutto quanto è, in un eterno essere.
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, Tre che sono Uno, tre Amori che si cercano, si contemplano, si lodano a vicenda, avvolti e stretti in un unico abbraccio d’amore incandescente che fa dei Tre distinti una Unità inscindibile”.

Maria Valtorta – Spirito Santo

sabato 27 maggio 2017

l'altare della vita


Quand'ero ragazzo andavo a messa tutte le domeniche ma non vedevo l’ora che finisse; la parola più dolce era per me sempre quella conclusiva: ”la messa è finita, andate in pace”, perché mi restituiva alla libertà. 
Un giorno una frase del sacerdote durante l’omelia frantumò ogni mia certezza: “quando io dico ‘la messa è finita’, la messa in realtà comincia!” 
Quelle parole mi mandarono in crisi. 
Dove sarei scappato adesso? 
Se la messa era sempre e dovunque, non potevo più nascondermi da nessuna parte: Dio mi avrebbe sempre trovato; non ci sarebbe stato più alcun luogo o circostanza in cui avrei potuto tenere Dio fuori dalla porta e chiudermi dentro a chiave.
Poi col tempo ho capito che non dovevo aver paura di far entrare Dio nella mia vita. 
La verità è che ogni uomo è un sacerdote e il suo altare è il mondo. 
La vita, poi, non è altro che la materia della nostra offerta: siamo chiamati ogni giorno ad offrirci sull’altare del mondo. 
Quante volte dobbiamo sacrificare una parte di noi stessi, dei nostri affetti, dei nostri sentimenti, in favore di un bene più grande. 
Siamo tutti pecore e pastori che continuamente ricevono offerte di beni sacrificati per noi da altre persone sull’altare della loro vita e a noi tocca ricambiare con la stessa generosità. 
Il mondo e l’intero universo si reggono solo grazie a questo misterioso scambio di offerte sacrificali che permette all’Amore di germogliare nel cuore dell’uomo.

venerdì 12 maggio 2017

potenza del sacrificio

Nel 1950 un giovane sacerdote tedesco sta tornando in bici da un pellegrinaggio fatto a Roma.
Prima di rientrare in Germania, su richiesta del suo padre spirituale, si reca a fare visita ad un convento di suore, presso il quale non era mai stato, con l'incarico di chiedere di una certa suor Veronika.
Bisogna premettere che il giovane era arrivato al sacerdozio attraverso circostanze molto rocambolesche e per certi versi incredibili, basti ricordare soltanto che, quando era già seminarista, fu arruolato nelle S.S. e alla fine della guerra accusato ingiustamente di essere un criminale nazista; per questo condotto davanti al plotone d'esecuzione dai francesi e, un attimo prima della fucilazione, salvato da un capitano appena giunto sul luogo che lo scagionava da tutte le accuse.
Ma torniamo alla porta del convento.
Quando suona il campanello, e pronuncia il suo nome, la suora che lo accoglie emette un grido di gioia, lasciandolo lì in piedi per andare a chiamare la superiora, la quale appena giunta si rallegra anch'ella di vederlo, dicendo che lo stavano aspettando da molti anni.
Il sacerdote replica che si tratta senz'altro di un equivoco, perché non aveva mai avuto contatti con quel convento. Ma la madre sorride dicendo: "venga, la prego, e vedrà quale contatto esiste tra questo convento e lei".
Lo condusse in infermeria, dove alloggiava suor Veronika, una donna molto anziana e malata: il suo volto era segnato da molta sofferenza, ma splendeva di una gioia luminosa.
"Quando ero ancora una giovane suora", cominciò a dire l'inferma, "il suo padre spirituale venne un giorno a predicare gli esercizi in questo convento e ci raccontò di una famiglia con molti bambini, allora erano undici; tra questi ce n'era uno che certamente sarebbe potuto diventare sacerdote, ma bisognava superare molte difficoltà affinché questo sogno si potesse avverare.
Chiese se una suora fosse disposta a sacrificarsi per il ragazzo e mi feci avanti io, con il consenso della superiora. Allora il padre mi condusse in cappella dove offrì al cuore sacerdotale di Gesù tutti i miei futuri sacrifici e sofferenze.
Fino ad allora non mi ero mai ammalata, ma pochi giorni dopo la mia promessa, fui costretta a mettermi a letto e per vent'anni non mi sono più alzata.
Che gioia provai quando venni a sapere che il Signore aveva accettato la mia offerta e quel ragazzo era diventato sacerdote.
Da allora ho pregato affinché prima di morire io potessi vedere il frutto dei miei sacrifici.
Quanto è buono Iddio che oggi ha esaudito la mia preghiera".
Il sacerdote allora cominciò a piangere, adesso comprendeva perché il Signore lo aveva condotto così in fretta al sacerdozio, addirittura prima di completare gli studi teologici, per espressa richiesta del Papa, Pio XII.
tratto dal libro: "Missione S.S.", autobiografia di Gereon Goldman.

martedì 2 maggio 2017

maggio si' tu...


Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle

Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo

Mi riconosco
immagine
passeggera

Presa in un giro
immortale

quale essere sente più nostalgia di chi crede?

Giuseppe Ungaretti

giovedì 20 aprile 2017

realtà nascoste

L'essere umano è un viandante che attraversa un giardino fiorito convinto di stare in mezzo a un deserto desolato.
Siamo circondati dalla grazia ma i nostri occhi sono incapaci di percepirla.
E questo è un grande problema.
La scrittura di questi giorni ci dice che persino davanti a Gesù risorto gli apostoli non erano in grado di riconoscerlo.
Finché siamo in questo mondo, ci ricorda S. Paolo, percepiamo la realtà come se fosse riprodotta da uno specchio e perciò in maniera riflessa; solo dopo saremo in grado di vedere "faccia a faccia".
La nostra incapacità di percepire la realtà così com'è ha un fondamento oggettivo, dunque:
esistono realtà invisibili, sconosciute ai nostri occhi, ma non per questo meno reali, che dobbiamo imparare a cogliere.
Accanto a noi sono presenti numerose creature spirituali che non vediamo mai, ma che esistono ed operano, e talvolta ne abbiamo avuto la prova tangibile.
Dal momento in cui ci alziamo dal letto la mattina a quello in cui ci addormentiamo alla sera, e persino durante il sonno, siamo inondati da grazie ordinarie delle quali nemmeno ci rendiamo conto.
La nostra cecità spirituale, tuttavia, dipende spesso anche da fattori soggettivi, ad esempio da una certa pigrizia intellettuale che ci fa disperdere troppe energie mentali su argomenti futili e vacui, piuttosto che verso realtà importanti ed essenziali che richiedono maggiore raccoglimento e riflessione.
Molta gente, infatti, dà per scontate molte realtà che invece richiederebbero una profonda attenzione da parte nostra.
Pensiamo soltanto alla realtà della creazione: diamo troppo per scontato il fatto di esistere e di stare al mondo, ma in realtà è una grazia straordinaria.
Non riflettiamo mai abbastanza sul fatto che prima eravamo nulla e adesso siamo creature capaci di meritare la felicità eterna.
Ci sfugge il valore inestimabile che segna il passaggio dal niente all'essere, e non ci rendiamo conto di quale tesoro preziosissimo sia la vita; anzi, talvolta ci lamentiamo persino di essere stati messi al mondo senza il nostro consenso.
Dobbiamo imparare, allora, a "contemplare" la realtà con occhi nuovi, consapevoli del fatto che da ciò dipende la felicità dell'intera esistenza, perché, come diceva qualcuno, la felicità del cielo è per coloro che saranno stati capaci di essere felici sulla terra.  

sabato 1 aprile 2017

cosa ci manca

Ogni mancanza rimanda a una pienezza.
Una mancanza presuppone sempre una presenza.
Non possiamo sentire il costante bisogno di qualcosa se l'oggetto dei nostri desideri più profondi non l'abbiamo mai visto ne conosciuto.
Se percepiamo che qualcosa di indispensabile ci manca è segno che almeno una volta nella vita abbiamo sperimentato quella pienezza, seppur solo per qualche attimo.
Ogni uomo sente dentro di sé un abissale desiderio di felicità piena e duratura che lo spinge a cercarla senza soste.
Allo stesso tempo percepiamo che ci manca sempre qualcosa per raggiungerla pienamente, anzi, avvertiamo che la nostra condizione umana è molto distante dalla meta desiderata.
Ma questo non ci consente di concludere che la felicità è un illusione, anzi, ci autorizza a credere proprio il contrario.
Perchè sarebbe ancora più assurdo avvertire un bisogno così radicato di qualcosa che non esiste.
Se sento che mi manca so già, solo per questo, che essa esiste.
La felicità può essere il fine del vivere solo perchè ne segna l'inizio.
Se, infatti, la felicità è proprio quella cosa essenziale che tutti desideriamo, dove la conoscemmo per volerla così?
Dove l'abbiamo vista per amarla?
Se infatti non la conoscessimo non l'ameremmo.
L'amore per la felicità, allora, non può essere il mero "prodotto" del desiderio, ma al contrario è ciò da cui il desiderio, riconoscendo o ricordando un'esperienza più grande di sé, comincia a sbocciare veramente.
Ripetiamo allora la domanda: dove l'abbiamo vista per amarla così tanto?
La risposta giusta, come sempre, ce la offre la Teologia non la filosofia.
E' Dio che crea le anime, e le crea a Sua immagine.
Per questo l'anima conserva la somiglianza con Dio, e ne serba il ricordo anche quando il peccato originale ne ferisce l'integrità e le fa perdere quella pienezza di felicità di cui godeva nel seno di Padre.
E' per lo stesso motivo che continuiamo a coltivare il sogno della felicità perduta e nutriamo la speranza, pienamente fondata, di riconquistarla un giorno, quando ritorneremo nel seno del Padre.

giovedì 23 marzo 2017

il piacere della vita

Ancora ritorna in me la dolce primavera
ancora non invecchia il mio cuore infantilmente allegro
ancora scorre la rugiada dell’amore giù dall’occhio mio
ancora vivono in me il piacere e il dolore della speranza.
Ancora mi consolano con dolce incanto il cielo blu e la verde campagna,
la divina mi porge la coppa dell’ebbrezza,
la gentile, giovane natura.
Fiducioso!
Vale i dolori, questa vita fino a quando per noi poveracci il sole di Dio splende e immagini di un tempo migliore si librano intorno alla nostra anima, e ahimè, un occhio gentile piange con noi.

Friedrich Hölderlin, Il piacere della vita

mercoledì 1 marzo 2017

Siete mai stati dal dentista?

La dottrina cristiana della sofferenza spiega un fatto molto curioso sul mondo in cui viviamo.
Dio ci nega, per la natura stessa del mondo, la felicità e la sicurezza che desideriamo, ma di gioia, piacere e divertimento ne ha disseminati dappertutto.
Non abbiamo mai la sicurezza, ma abbiamo un sacco di occasioni di allegria e perfino qualche momento di estasi.
Non è difficile capire il perchè.
La sicurezza che desideriamo ci indurrebbe a porre il nostro cuore nelle cose di questo mondo e costituirebbe un ostacolo al nostro ritorno a Dio; ma pochi momenti di un amore felice, un paesaggio, una sinfonia, un allegro incontro con i nostri amici, una partita di calcio non ci fanno correre questo rischio.
Il Padre ci ristora, nel viaggio, in alcune piacevoli locande, ma non ci incoraggia mai a scambiarle per la nostra vera casa.


La cosa terribile è che un Dio perfettamente buono non incute meno paura di un Sadico Cosmico.
Un uomo crudele lo si potrebbe corrompere; potrebbe stancarsi del suo infame passatempo. Potrebbe avere la sua parentesi di misericordia, come un alcolizzato ha le sue parentesi di sobrietà. Ma mettiamo invece di aver a che fare con un chirurgo che ha a cuore solo il nostro bene.
Più sarà buono e coscienzioso, più sarà inesorabile nel tagliare.
Se cedesse alle suppliche, se interrompesse l'operazione prima della fine, tutto il dolore provato fino a quel momento sarebbe stato inutile.
Che cosa vogliono dire quelli che proclamano: "non ho paura di Dio, perchè so che è buono"?
Non sono mai stati da un dentista?

C.S. Lewis "Il problema della sofferenza" e "Diario di un dolore"

mercoledì 15 febbraio 2017

consolare

Non avevo mai riflettuto sull'etimologia di questo vocabolo.
C'è qualcuno che la mette in relazione con il concetto di solitudine.
«Consolare» significherebbe perciò sostanzialmente «stare con uno che è solo».
L'idea è suggestiva perché individua la radice del malessere contemporaneo: la tristezza e il dolore dell'uomo "moderno" nasce proprio dal sentirsi solo, privo di una presenza che riscaldi, di una mano che accarezzi, di una parola che spezzi il silenzio e le lacrime.
Non per nulla la parola «desolato» significa in radice «essere solo» pienamente.
Quello che a me sembra, infatti, è che dopo il peccato originale ogni uomo è solo, e perciò avverte un bisogno profondo di essere consolato, bisogno che se non è rettamente soddisfatto può mandare tutto in rovina.
Aveva ragione il romanziere russo Vladimir Nabokov, quando ha scritto che «la solitudine è il campo da gioco di Satana», ed è per questo che lo Spirito Santo è detto «il Consolatore».
Sarà questo il motivo per il quale mi piace tanto invocarlo con quelle antiche parole così belle:
"vieni Santo Spirito; riempi il cuore; accendi il fuoco del tuo amore; manda il tuo Spirito per una nuova creazione e rinnoverai la faccia della terra". 


venerdì 3 febbraio 2017

sull'amore

L'uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro.
Ha bisogno dell'esserci dell'altro che gli dice: è bene che tu ci sia.
Solo a partire da un "tu", l'"io" può trovare se stesso.
Solo se è accettato l'"io" può accettare se stesso.
Chi non è amato non può neppure amare se stesso.
Questo essere accolto viene anzitutto dall'altra persona.
Ma ogni accoglienza umana è fragile.
In fin dei conti abbiamo bisogno di un'accoglienza incondizionata.
Solo se mi sento accolto da Dio so definitivamente che io sono voluto.
Ho un compito nella storia. 
Sono accettato.
Sono amato.

J. Pieper, sull'Amore


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