lunedì 29 ottobre 2012

il segreto della felicità

Ieri mattina avevo deciso di andare a correre.
Scelgo sempre posti nuovi per farlo, perchè ho bisogno di riposare la mente oltre che il corpo.
La settimana scorsa avevo scoperto un posto veramente affascinante: un tratto di sentiero un po' selvaggio lungo il fiume che non avevo mai percorso e, perciò, ieri ero ansioso di ritornarci per continuare ad esporarlo.
C'era un solo problema: pioveva a dirotto e infuriava un vento freddo.
Chissenefrega, mi sono detto, non saranno certo quattro (???) goccie a fermarmi.
Mi sono armato di una giacca a vento ed un cappello e sono salito in auto.
Ho acceso lo stereo ed ho alzato il volume.
Amo particolarmente ascoltare musica viaggiando.
Dopo pochi minuti ho visto un barbone che già conosco camminare infreddolito sotto la pioggia.
Cosa posso fare per lui, mi sono chiesto? Davvero poco, devo prenderne atto.
Ma anche quel poco forse può servire a qualcosa.
Allora ho spento lo stereo, offrendo questa piccola rinuncia per quel poveretto.
Arrivato a destinazione mi sono accorto che non pioveva poi così tanto ed ho cominciato a correre.
Sarà stata la sorpresa di avventurarmi in una zona inesporata, oppure il fatto che nonostante la pioggia e il vento potevo benissimo correre senza problemi, fatto sta che mi ha invaso un senso di felicità del tutto sproporzionato rispetto alle circostanze esterne.
Anche quando ha cominciato a piovere più forte ed il vento si è tramutato quasi in tempesta neanche una goccia d'acqua è riuscita a bagnare la mia anima, anzi: più forte infuriava il vento più forza sembravano acquistare le mie gambe.
Certo avevo le scarpe, i piedi e le gambe completamente inzuppati, ma ero felice, di una felicità assoluta.
E' stato allora che ho sentito il bisogno di ringraziare il Dio delle piccole cose per quella sorprendente ed inaspettata felicità.







giovedì 18 ottobre 2012

la scala misteriosa

Nel settembre del 1852 alcune Suore di Lorette partirono per il Sud-Ovest degli Stati Uniti, tra il Kentucky, il Missouri ed il Kansas, e si fermarono a Santa Fe, nel New Messico.
Il viaggio fu difficile e pieno di rischi, al punto che durante il tragitto la superiora, madre Mathilde, morì di  colera.
Le suore giunte a destinazione, Madeleine, Catherine, Hilaire e Robert, si installarono in una casetta, in mezzo ad una popolazione composta principalmente da messicani e da indiani. La loro prima preoccupazione fu quella di costruire un convento e una cappella. Esse fecero dunque venire alcuni carpentieri messicani e, ben presto, venne edificata una scuola: il Collegio di Lorette e, il 25 luglio 1873, cominciò la costruzione della cappella.
L'edificio venne posto sotto la protezione di San Giuseppe, ma a cappella finita le suore si accorsero che se da un lato la realizzazione era notevole, tuttavia era stato fatto un errore grossolano: nessuna scala di collegamento era stata prevista tra la tribuna ed il coro e, tenuto conto dell'altezza della tribuna, era impossibile installarne una!
Suor Madeleine fece venire numerosi carpentieri per provare a risolvere il problema, ma tutti i tentativi risultarono vani. Alcuni proposero di mettere una scala semovente, altri di radere al suolo l'intero edificio e ricostruirlo; perciò le suore preferirono fare una novena a San Giuseppe, che era falegname, ed attendere un aiuto efficace.
L'ultimo giorno della novena, un uomo che spingeva un asino carico di attrezzi si fermò alla cappella e propose di costruire lui la scala, cosa che le suore, dopo un rapido consulto, gli accordarono di fare.
L'uomo possedeva solamente tre attrezzi: una sega, un martello e una squadra a forma di T.
Dopo sei mesi, il lavoro fu finito.

L'uomo sparì dall'oggi al domani. Senza lasciare tracce. E senza aver chiesto nemmeno un soldo. Madre Madeleine, preoccupata di assolvere il suo debito, andò alla segheria per pagare il discreto carpentiere e il legno. Ma ecco la sorpresa: nessuno conosceva l'uomo e nessun documento riguardava un acquisto di legno per la cappella. Primo mistero. Il secondo, non certamente da meno, riguarda la scala. È un vero capolavoro composto da due spirali complete (2 x 360°) che poggiano su sé stesse; a differenza della maggior parte delle scale a chiocciola, essa non ha nessun pilastro centrale per sostenerla. Il che vuol dire che è sospesa senza nessun supporto. Tutto il suo peso grava sul primo scalino.
Suor Florian, che ha lasciato un racconto di questa storia (cfr. rivista Saint-Joseph, aprile 1960), scrive: "Parecchi architetti hanno affermato che questa scala sarebbe dovuta crollare al suolo nel momento stesso in cui la prima persona si fosse azzardata sul primo scalino. E tuttavia essa è stata utilizzata quotidianamente per oltre cento anni.
La scala è stata assemblata esclusivamente con perni di legno: non c'è un solo chiodo. Attualmente, la parte localizzata sotto gli scalini tra il montante e la cremagliera assomiglia al legno leggero. In realtà, si tratta di gesso mescolato al crine di cavallo, destinato a dare rigidità.
Troppo numerosi sono i visitatori che si sono lasciati prendere dalla tentazione di portarsi a casa un souvenir, e che perciò hanno strappato dalla scala dei pezzi di gesso. Nel 1952, quando le Suore hanno festeggiato il centenario del loro arrivo a Santa Fe, hanno sostituito il gesso, e l'hanno dipinto in modo da dargli l'aspetto di smalto color legno".
 

All'epoca della sua costruzione, la scala non aveva ringhiere. Esse furono aggiunte cinque anni più tardi.
Migliaia di visitatori sono venuti - dal mondo intero - per esaminare questa scala misteriosa. Tra essi, numerosissimi architetti, e tutti hanno ammesso che non comprendevano assolutamente come la scala sia stata costruita, né come abbia potuto rimanere in buono stato dopo decine di anni di utilizzo. Urban C. Weidner, architetto della regione di Santa Fe e perito di rivestimenti in legno, ha detto che non aveva visto mai una scala a chiocciola su 360° che non fosse sostenuta da un pilastro centrale. Una delle cose più sorprendenti a proposito di questa scala, secondo Weidner, è la perfezione delle curve dei montanti. Egli ha spiegato che il legno è raccordato (nel gergo della falegnameria si dice "innestato") sui lati dei montanti da nove spacchi di innesto sull'esterno, e da sette sull'interno. La curvatura di ogni pezzo è perfetta. Come puo essere stata realizzata una scala simile nel 1870, da un uomo che ha lavorato da solo, in un luogo isolato, con degli attrezzi più che rudimentali? Numerosi periti del legno hanno tentato di identificare il tipo di legname utilizzato, in modo da individuare la sua origine, ma senza trovare risposte. Gli scalini, instancabilmente utilizzati per più di un secolo, non presentano segni di usura che sul bordo. Uno di questi periti pensa di avere identificato questo legno come "un tipo di pino granuloso sui bordi, impossibile da trovare in America".

domenica 7 ottobre 2012

I nuovi sentimenti

 
Qualche anno fa, eravamo nel 2006, un gruppo di scrittori veneti pubblicò un libro dal titolo emblematico: "I nuovi sentimenti", a cura di Romolo Bugaro e Marco Franzoso.
Si trattava di una serie di racconti, prevalentemente autobiografici, che avevano come punto di partenza una riflessione comune: "di cosa parliamo quando parliamo di sentimenti e delle passioni? Ci è stato insegnato che l'amore è una certa cosa, via via trasformatasi e rinnovatasi, senza cambiare natura. Ma oggi siamo davvero sicuri che l'amore sia ancora quel che era un tempo? Non sarà che, senza che noi ce ne accorgessimo, a forza di trasformarsi e reinventarsi abbia subito una mutazione, abbia cambiato specie? Come posso, ad esempio, immaginare di amare una persona per tutta la vita, quando vedo che ormai quasi nessuno ama più per tutta la vita? Siamo così instabili, noi tutti, oggi, così privi di centro. Possiamo immaginare che questo essere "senza centro" non sia la causa del nostro malessere, ma l'escamotage che abbiamo inventato per sopravvivere - se non indenni, almeno non troppo malinconici - al cambiamento incessante?"
Devo confessare che all'epoca comprai il libro per la bellissima copertina ed il titolo intrigante, ma il contenuto non mi entusiasmò granchè: le storie raccontate avevano infatti quasi tutte un fondo di malinconia e mancanza assoluta di speranza.
Mi colpì, in particolare, il racconto di Marco Bellotto, dal titolo "Tradimento". Mi colpì la disarmante sincerità con cui raccontava il fallimento della sua vita, con queste parole: "il mio amico Romolo Bugaro si è inventato una versione da terzio millennio dello stoicismo o dell'esistenzialismo. Si chiama titanismo, è una forma di cinica crudeltà con se stessi che si può permettere solo chi ha talento. Anche il titano è destinato alla sconfitta, naturalmente, ma la sconfitta del titano è gloriosa. Che la tua disfatta sia splendente, titano Romolo.
Noi tutti avevamo talento, ognuno a suo modo. Dio aveva posato la sua mano sulla nostra testa. E ognuno di noi lo ha dissipato in modo infame. I tempi sono quelli che sono, l'epoca, il tramonto dei valori...
Stronzate, nessuno di noi può essere perdonato. Molte generazioni prima della nostra hanno vissuto sull'orlo dell'abisso. La verità è che esistono epoche dolci ed epoche schifose. Epoche dure e maledette, in cui puoi solo affrontare il tuo tempo e batterlo. Essere più grandi del mostro, inventare un nuovo giardino e nuovi sentimenti. Oppure tradire con disonore. Noi abbiamo gettato al vento la nostra possibilità. Io ho scritto un romanzo, è vero, e ne sto scrivendo un altro, ma tutto quello che volevo dalla vita era diventare un uomo buono e forte, e invece sono un debole. Combatto il dolore con l'alcol o accendendo un computer, ma sto fallendo e questo è tutto quello che posso dire di me stesso".
Ricordo che questa confessione di Marco mi toccò nel profondo perchè mi parve di trovare finalmente qualcuno che dei propri fallimenti incolpava soprattutto se stesso e non il sistema, la società o l'epoca difficile che aveva trasformato i sentimenti in qualcosa di fragile e precario.
Finalmente qualcuno si assumeva le proprie responsabilità e riconosceva che l'uomo è sempre l'artefice del proprio destino: il nemico è dentro di noi non fuori.
Marco Bellotto purtroppo non potrà scrivere più niente su questa terra: si è suicidato sabato scorso; aveva la mia età.
Io voglio sperare che il Dio della misericordia lo avrà accolto nelle sue braccia, se non altro per la sincerità che ha avuto nel raccontare senza pretesti la sua lotta interiore contro il mostro che tutti abbiamo dentro.