giovedì 27 settembre 2012

Arte e vita



"Picasso non solo ha cambiato la pittura, ma anche la letteratura, il cinema, la musica e l'architettura; non è riuscito però a cambiare se stesso"; queste parole del poeta russo Evgenij Evtushenko mi sembrano particolarmente appropriate per affrontare l'argomento Picasso.
Stimolato da un articolo bello e ricco di spunti di Francesca Lanzarotti, questo, che presenta la mostra in corso a Milano sul pittore più amato e odiato della storia dell'arte, pensavo al rapporto che intercorre tra arte e vita: si può essere dei geni e condurre uno stile di vita cinico e dissoluto?
Sembrerebbe proprio di si, esaminando le note biografiche di Picasso".
Morirò senza avere mai amato", dichiarò un giorno a Françoise Gilot, l'unica donna che cercò di sottrarsi al massacro psicologico cui l'artista sottoponeva le sue conquiste femminili, diverse delle quali morirono suicide.
Persino una personalità forte come Dora Maar, stimata fotografa, ben introdotta nella cerchia dei Surrealisti, colta, spregiudicata, indipendente, si lasciò a poco a poco sopraffare dalla sadica personalità di Picasso, che prima la indusse ad abbandonare la fotografia per la pittura e poi la derise con critiche distruttive.
Cominciò addirittura a picchiarla scatenando il lato fragile e masochista della donna che, da rabdomante, Picasso aveva subito colto: «Dora, per me, è sempre stata la donna che piange... Era l'incarnazione stessa del dolore... Un giorno, finalmente, sono riuscito a ritrarla così».
Quel quadro, celeberrimo, è diventato uno dei più pagati di Picasso.
Dopo sette anni condivisi con altre amanti, Dora viene lasciata e cade in una depressione dalla quale si riprende a stento.
«Non sono stata l'amante di Picasso. Era solo il mio padrone», dirà poi nei lunghi anni trascorsi in totale solitudine, da autoreclusa. «Solo io so quello che lui è ...è uno strumento di morte ...non è un uomo, è una malattia». 
Devo confessare che, ancor prima di conoscere il suo stile di vita, i quadri di Picasso non erano mai riusciti a trasmettermi alcuna emozione; da profano, però, lascio agli esperti il giudizio sulla sua genialità e mi limito soltanto a dire che se avesse provato a cambiare anche un po' se stesso forse ci avrebbe lasciato dei quadri infinitamente più belli

mercoledì 19 settembre 2012

Caterina

Caterina era una ragazza un po’ buffa, dall’aspetto goffo e paffuto: quando era emozionata le si accendevano due lampioni rossi sulle guance e la viva luce degli occhi le faceva risplendere il volto. Era il bersaglio preferito dei compagni di classe più spietati, poiché ogni volta che apriva bocca non riusciva mai a nascondere quanto immatura fosse ancora la sua percezione della vita. Le sue compagne più sensibili non riuscivano a fare altro che trattarla come la sorellina più piccola e buffa, con la conseguenza che, pur di richiamare l’attenzione, Caterina accentuava ancora di più i suoi atteggiamenti infantili. All’inizio cercai anch’io di essere gentile con lei, non raccogliendo le tante occasioni che l’ambiente scolastico offriva per mettere alla berlina i personaggi più goffi. Lei colse subito il mio atteggiamento e mi elesse inaudita altera parte come fratello maggiore. Ben presto, però, si rese conto che come fratello maggiore ero tutt’altro che accomodante, poiché cominciai a farle notare puntualmente l’idiozia dei suoi comportamenti e questo generava frequenti litigi tra di noi. I miei compagni assistevano un po’ sorpresi ai nostri battibecchi; risultava loro incomprensibile il fatto che perdessi tanto tempo dietro ad una simile creatura. Le compagne, invece, giudicavano troppo brusco e poco delicato il mio modo di trattarla; Caterina, dal canto suo, dava l’impressione di aver compreso che mi stava a cuore sinceramente la sua maturazione, per quanto dolore potessero arrecarle i miei modi. Le schermaglie andarono avanti per parecchi mesi tra discussioni e pianti, finché un giorno mi accorsi che la bambina era finalmente cresciuta. Per qualche tempo la scoperta non mutò i nostri rapporti; continuavamo a litigare come per inerzia, ma sempre con maggiore soddisfazione reciproca. Un giorno, al termine dell’ennesima discussione, la guardai negli occhi e le dissi: ”sei cambiata Caterina”.
Lei, allora, si volse verso di me e con uno sguardo malinconico rispose: ”Sei l’unico che se ne è accorto”.
Alla fine del liceo la persi di vista, ma non dimenticai mai quelle parole.
La incontrai, per caso, dopo alcuni anni e stentai a riconoscerla: era diventata esile quanto lo stelo di un fiore. Compresi, allora, il dramma che stava vivendo: l’avevo addestrata a tirare fuori gli artigli contro di me ed ecco che adesso li aveva rivolti verso il suo aspetto fisico. La tigre stava sbranando se stessa!
“Sono contento di vederti”, le dissi trattenendo a stento l’emozione; “anch’io”, rispose, abbozzando un lieve sorriso. Restammo pochi minuti a parlare, nel bel mezzo di una strada affollata da gente che si agitava per le ultime compere natalizie e ci lasciammo con la promessa di rivederci presto.
Si smette di mangiare o per troppo amore o per troppo dolore, oppure perché il proprio aspetto fisico, che spesso viene identificato con il peso corporeo, è divenuto l'unico vero grande valore dell'esistenza. Quando ci si innamora, infatti, si perde temporaneamente la sensazione dell’appetito: il cuore è talmente pieno che sembra impedire che entri qualsiasi altra cosa nel nostro corpo. Per fortuna in questi casi l’appetito ritorna appena l’innamoramento si “normalizza” e l’entusiasmo affettivo viene incanalato entro binari ordinari. Più distruttiva è l’anoressia che nasce da quello scontro frontale con la vita rappresentato da un evento particolarmente doloroso e traumatico che scuote le fondamenta dell’esistenza della persona. Mai come in questo caso, dunque, quel pallone gonfiato che siamo noi tutti, invece di continuare a gonfiarsi di cose inutili, comincia lentamente a sgonfiarsi, fino a che non resta più niente, neanche la forza di sopravvivere.
Una settimana dopo l’incontro con Caterina, l’impronta della morte sul suo viso continuava a tormentarmi e così decisi di rivederla: non potevo accettare che buttasse via così la sua vita. Mi accolse senza molto trasporto e restammo a parlare a lungo dei tempi del liceo, dei vecchi amici e di come eravamo cambiati tutti. Ad un certo punto l’abbracciai e, stringendola forte, tanto da sentire le sue ossa come aghi di spillo sul mio corpo, le dissi che non avrei trovato pace finché non l’avessi vista guarita, strappandole la promessa che avrebbe almeno provato a reagire. Lasciandola le chiesi di chiamarmi ogni volta che avesse avuto bisogno d’aiuto: l’avrei raggiunta ovunque mi trovassi.
Non credevo che ce l’avrebbe fatta ed allora, ricordandomi dei fioretti che facevo da bambino per chiedere al buon Dio qualche cosa che mi stava particolarmente a cuore, decisi di smettere di fumare fino a che Caterina non fosse stata fuori pericolo; a quel tempo fumavo di gusto!
Tre mesi dopo mi arrivò una sua lettera in cui mi diceva che aveva finalmente ritrovato il gusto di vivere e concludeva: “tante persone in questi mesi mi hanno ripetuto sempre la stessa frase: ‘devi reagire prima che sia troppo tardi’. Una sola volta, però, ho sentito che la persona che me la diceva avrebbe dato la sua vita per la mia. Solo allora ho trovato la forza di reagire”.

venerdì 14 settembre 2012

l'albero della vita

"O Crux ave, spes unica", canta oggi la Chiesa celebrando la festa dell'Esaltazione della Santa Croce: salve o Croce, unica speranza!!!
Mi ha sempre sorpreso e meravigliato questo riferimento alla Croce di Cristo come unica speranza per l'uomo.
Perchè la croce è l'unica speranza? Mi sono chiesto spesso, senza riuscire a comprendere in profondità il mistero di un Dio che sceglie di salire sul patibolo più infamante e doloroso per amore del genere umano!
Poi un giorno ho letto queste parole: "come le colombe si nascondono nelle fenditure della roccia per trovare riparo quando arriva la tempesta, così anche noi dobbiamo rifugiarci nelle piaghe di Cristo crocifisso per trovare conforto nei momenti di prova; allora tutto acquisterà una luce nuova e nessun dolore ci sembrerà più insopportabile"!!!
Solo allora ho cominciato a capire.
Ho capito perchè quello che può apparire il segno di un fallimento umano agli occhi superficiali del mondo, "scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani" ancora oggi, può diventare il simbolo di un trionfo: un trono dal quale Cristo regna sugli uomini di buona volontà.
E si rivela ancora una volta paradossale la logica di Dio, che stravolge tutto l'ordine dei valori che guidano la nostra vita.
Un evento triste e tragico che qualsiasi famiglia umana avrebbe voluto presto dimenticare per non rivivere più le sofferenze che lo avevano accompagnato, viene celebrato invece solennemente da milioni di persone in tutto il mondo ancora oggi, dopo duemila anni.
E' per questo, e per mille altri motivi, che la Chiesa celebra oggi la festa dell'Esaltazione della Santa Croce, cantando: salve o Croce, unica speranza!!!


giovedì 6 settembre 2012

il cuore della legge

“Love is never easy. It’s short of the hope we have for happiness. Bright and sweet. Love is never easy street!” cantava Joni Mitchell in uno dei suoi dischi più suggestivi; tuttavia vale la pena investire le migliori energie e risorse in quest’impresa, poiché la vita non è altro che una scuola d’amore a cui nessuno può sottrarsi.
Quando parlo d’amore non posso fare a meno di pensare a quello che è stato il legame sentimentale vissuto dai miei genitori.
Il loro è stato senza dubbio un matrimonio d’amore, frutto di un sincero innamoramento tra due persone molto diverse per carattere e sensibilità.
Con il passare degli anni, tuttavia, il loro rapporto affettivo si è trasformato profondamente, dopo essere passato attraverso molte crisi non certo di poca rilevanza.
La regola aurea “Non litigare mai davanti ai figli” è molto difficile da osservare da parte di chiunque, ragion per cui non rimprovero ai miei genitori di non averla spesso tenuta in gran conto.
Non ricordo di averli mai visti darsi un bacio o abbracciarsi, o almeno scambiarsi quelle naturali tenerezze così frequenti tra gli innamorati.
Per mio padre manifestare apertamente i propri sentimenti era un segno di debolezza e così quando lo vidi per la prima volta piangere come un bambino rimasi scioccato e non riuscivo a credere ai miei occhi; l’occasione gli fu data da una diagnosi, per fortuna poi rivelatasi errata, di un possibile tumore al seno diagnosticato a mia sorella: fu allora che feci la scoperta, in maniera a dire il vero abbastanza traumatica, della ricchezza sentimentale di un uomo che era duro soltanto in apparenza, poiché in realtà era una persona in ansia per tutto ciò che riguardava la sua famiglia.
Nonostante i frequenti, e talvolta molto accesi, litigi cui mi toccava di assistere, non provo risentimento verso i miei genitori, anzi sono loro molto grato per essere rimasti insieme nonostante abbiano avuto mille motivi per separarsi: ho compreso che quello strappato con le lacrime e il sangue non è meno amore dello slancio dei sensi che caratterizza la giovane passione amorosa.
Ho capito, allora, le parole di Cristo sul cuore della legge: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze”. Vi siete mai chiesti perché il brano evangelico non si ferma al “cuore” ma va ben oltre? A pensarci bene sarebbe stato sufficiente dire “amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore” per dare l’idea della totalità che deve caratterizzare il nostro amore nei Suoi confronti.
Ed invece ci viene chiesto ben più del cuore, inteso come la sede dell’affettività sensibile.
E’ come se Cristo volesse dire a tutti gli uomini, ma in particolare agli sposi, “guardate che verrà un momento in cui il cuore non vi basterà più ed allora dovrete attingere a tutte le vostre facoltà per rimanere fedeli all’impegno che liberamente avete assunto”.
All’origine di molti fallimenti matrimoniali c’è questo malinteso di fondo: ci si illude di poter trovare la felicità perfetta in un rapporto che per natura non è in grado di dare che gioia umana più o meno duratura ma destinata in ogni caso a concludersi.
Questo equivoco può condurre a gravi conseguenze, poiché non c’è nulla di più distruttivo di un matrimonio tra persone che cercavano la felicità e si sono imbattute nel sacrificio che richiede lo sforzo di uscire da sé stessi per donarsi all’altro.